Posts Tagged ‘La condizione operaia’

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Linea Gotica.

18 gennaio 2011

La “via aziendale alla classe operaia” è una via lunga; ma, alla fine, chiusa. O ci trovi, in fondo, il padrone; o, nel migliore dei casi, la tua stessa coscienza e la storia, che la sbarrano.

Ottiero Ottieri, “La linea gotica : taccuino 1948-1958”, Parma, Guanda, 2001

L’intellettuale socialista Ottiero Ottieri (qui l’ottima voce su Wiki) parla di sé e del suo lavoro alla Olivetti e insieme delle sorti del sindacalismo.

Si aggiunga che il suo mestiere, allora, era il selezionatore di personale alla Olivetti di Ivrea, dopo essere passato per mansioni ugualmente legate al personale in altre aziende. La grande fabbrica la conosceva bene, e mentre allora, nel ’55 si discuteva delle elezioni della Commissione Interna a Mirafiori (che è la grande fabbrica: io non so quanti di voi conoscano bene Torino, ma se così non è controllate su una mappa quanto caspita è grande) lui lavorava alla Olivetti dell’ingegner Adriano, tutt’altra impostazione. “La linea gotica” è il diario politico, lavorativo, letterario, quel-che-volete di quegli anni intensi.

Vi si spazia dai ricordi di gioventù, alle considerazioni sulla natura del fascismo, ai report dei congressi di sezione, alla meningite e al suo ricovero forzato, ai destini della classe operaia, alla letteratura, alle conversazioni sulla vita e la morte. Una recensione completa fatta dal sottoscritto ai bei tempi andati ve la incollo qui. A leggere il libro vi fate un favore, l’ultima edizione costa 8 euro, sul web pure meno.

L’organizzazione materiale del lavoro alla catena di montaggio nel 2011 c’entra poco, nella maggior parte dei reparti, con quella del 1955, a volte quasi niente: ma anche oggi si parla di via aziendale alla classe operaia. Oh, certo: quella prevista lucidamente da Ottieri ha già vinto, e di molto -pensiamo che i corsi di formazione in fabbrica prevedono da anni quelle cialtronate made in USA sull’autostima, mettersi in cerchio, gridare le cose tutti insieme- ma se c’è una linea gotica, allora ci sono anche dei nuovi barbari, solo che non stanno tutti dalla parte di Marchionne. Barbari sono tutti quelli che immaginano che operaio = corpo sfruttato o sfruttabile da sottoporre al ritmo lavorativo di una macchina. Ottieri capisce che così non è -non era così allora come non lo è oggi.

Non nel senso che è cattivo chi desidera che sia così; nel senso che è scemo chi crede che lo sia. Un operaio (o un’operaia) è uno che di mestiere fa quello e poi nella vita fa altro, ha una famiglia degli amici una religione una squadra di calcio eccetera. Barbarico è vedere solo le 8 ore al giorno di fabbrica e non le altre 16: sindacati o no, chi a Mirafiori o Pomigliano d’Arco ha chiesto un contratto migliore ha chiesto (anche) un po’ più di rispetto per quel che un lavoratore è e fa quando non lavora, mica ha invocato “l’unità della classe operaia” e il suo ruolo storico.

P.S. La linea gotica del titolo, comunque, è quella attraversata dal romano di genitori toscani Ottieri nel decidere di lavorare al Nord, a Milano, per prendere realmente contatto con la realtà operaia. Il suo ultimo libro, un romanzo, s’intitolava “Un’irata sensazione di peggioramento“, citazione da Il partigiano Johnny di Fenoglio. Non potevamo esimerci dal mettere su questa.

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Il buonsenso, la logica, i fatti, le opinioni, le raccomandazioni.

11 gennaio 2011

E insomma, niente, si parla dell’accordo sindacale per lo stabilimento di Mirafiori firmato dalla FIAT (o meglio, dalla newco Fiat in joint-venture con Chrysler) con le controparti sindacali Fim-Cisl, Uilm-Uil, Ugl, Cisnal e un mai sentito prima “sindacato dei quadri” e invece rifiutato dalla Fiom-Cgil.

E tutti a dire che alla fine è un buon accordo. O è un accordo terribile. Che porta modernizzazione. No, che sottrae i diritti acquisiti e costituzionali. Che “se vince il no, la Fiat se ne va“. Che allora bisogna per forza votare sì. Che no, “è il nuovo fascismo, sciopero generale”. Che “guai se vince il no, io in fondo cosa faccio il ministro a fare” (forse questo). Che bisogna votare no e poi firmare lo stesso (WTF?), dice la Camusso. Che (Fassino) “se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì all’accordo”, oppure (Tricarico) che “gli operai della Fiat non faranno una scelta politica, ma di vita, la loro cambiare la propria organizzazione famigliare, il proprio tempo, non è una decisione a cuor leggero e per questo ben comprendo chi dirà no. E fossi al loro posto potrei dirlo anche io”. O anche, meglio, che “Se io fossi un operaio di Mirafiori, con la mia età e dei figli da mantenere, voterei sì sputando sulla scheda subito dopo. Se io fossi un operaio di Mirafiori, avessi vent’anni e non avessi famiglia, voterei no e andrei a prendermi una sbronza subito dopo.”

Qualche squarcio del mondo sindacale direttamente interessato all’accordo (o almeno di una parte di esso) è nei servizi della puntata de L’Infedele su La7 di ieri sera.

Insomma, l’impressione generale che se ne ricava sembra essere quella di grande confusione, di un quadro bloccato su posizioni incancrenite da decenni, di parti in commedia, della FIOM troppo rigida, da sempre, e di Marchionne che innova e però così esagera perché fa il solito vecchio padrone, della politica che non c’è etc.

Stringendo: che al di là del merito, la questione stia soprattutto nell’esasperazione del clima politico e sindacale; che altri accordi come questo sono stati fatti e altri se ne faranno; sì, è un brutto accordo sul piano di alcuni diritti, ma cosa vuoi, con la globalizzazione e la crisi non ci si può neanche troppo lamentare e indipendentemente dal testo firmato, ogni sindacato tira acqua al suo mulino.

Proposta: leggetevelo sul serio, quell’accordo, è qui. Poi ne riparliamo.

Visualizza questo documento su Scribd

Letto? Bravi. A me sembra ancora peggio di quando sulla questione ne sapevo meno, e mi pare che la Fiom abbia molte, moltissime ragioni.

P.S. A mo’ di postilla: citiamo da qui

Questa mattina c’è preso un colpo collegandoci alla home page di repubblica, perchè abbiamo pensato: ecco ancora una volta nelle fasi più calde del conflitto riappaiono i vecchi fantasmi a fare danni. Così, con qualche attimo di paranoia, abbiamo cliccato sulla notizia “Stella Br contro Marchionne”. Poi abbiamo visto le foto, abbiamo cercato le BR ma non le abbiamo trovate, nè nelle foto nè nelle scritte. [….] La stella rossa a cinque punte è in generale un simbolo del comunismo o del socialismo che rappresenta allo stesso tempo le cinque dita della mano del lavoratore e i cinque continenti, il che si mette in relazione con l’internazionalismo della parola d’ordine marxista: Proletari di tutti i paesi, unitevi!

Troppo difficile da capire per alcuni giornalisti? Va bene, disegnino:

Vediamo che succederà alla prossima.

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“La porte”, Simone Weil

8 agosto 2010

S’è detto che il prossimo numero di Idioteca, che uscirà ai primi di settembre per un’iniziativa di cui presto scriveremo anche qui, sarà dedicato alla parola-chiave “(Pre)Fabbrica“. Mi raccomando, seguiteci sul blog!

Parlando di Fabbrica, scrittori, marxismo e poesia, tiriamo fuori dal cappello  un testo di Simone Weil. Come dite? Biografia? E biografia sia.

Simone Weil (Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943), per chi non la conoscesse bene, è stata una filosofa francese della prima metà del secolo scorso -a parere di chi scrive, una delle figure più influenti della filosofia religiosa, e non solo, del Novecento.

Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.

"Due forze regnano sull'universo: luce e pesantezza" Da 'L'ombra e la grazia'

Così scriveva ella stessa nel 1934, a 25 anni, nel saggio “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” (leggetevi bene la voce su Wikipedia, fatta insolitamente bene): esso assomma le analisi di una giovanissima professoressa di filosofia al Liceo, di famiglia ebrea e cresciuta ascoltando le lezioni di alcuni dei docenti più influenti di allora, che critica le posizioni filosofiche ed economiche marxiane su una base ‘materialista’, con la critica al necessitarismo e rileggendo criticamente la categoria di oppressione. Coerente fino in fondo con le sue idee, deciderà di entrare nelle officine Renault per conoscere in prima persona e sul suo corpo (già provato da precedenti e precoci malattie) l’alienazione del lavoro di fabbrica alla catena di montaggio. Dalle lettere e dai diari di quel periodo scaturirà il libro La condizione operaia, pubblicato postumo.

Andrà poi a combattere coi repubblicani nella guerra civile spagnola, insieme agli anarchici, ospiterà Trotzkij a casa sua, continuerà a viaggiare per l’Europa approfondendo sempre più la radice religiosa del suo pensiero. In particolare nel saggio La prima radice tratterà la necessità umana del radicamento da un’Europa scossa dai venti di guerra e dal totalitarismo: la direzione cristiana e mistica si avverte anche nel suo rinnovato interesse per l’epica greca, per le radici della sua tragicità, il ruolo del destino individuale  e l’universo di forze che vi si dipinge.

"Io sono convinta che la sventura da un lato, e dall'altro la gioia come adesione pura e totale alla perfetta bellezza, implicando entrambe la perdita dell'esisitenza personale, siano le uniche due chiavi per mezzo delle quali ci è possibile entrare nel paese puro, il paese respirabile; il paese reale" Da 'La Grecia e le intuizioni precristiane'

Fugge da Parigi quando viene invasa dalle truppe tedesche per riparare a Londra e unirsi alla Resistenza francese in esilio. A causa del digiuno intrapreso per sentirsi unita ai suoi connazionali nel paese occupato, le sue già precarie condizioni di salute precipitano e Simone Weil muore, a soli 34 anni, nel sanatorio di Ashford.

Molti dei suoi scritti saranno raccolti dai suoi amici, e pubblicati postumi. Essi comprendono lettere, estratti dai suoi quaderni, frammenti e altro ancora. Una bibliografia parziale ma esauriente si trova QUI.

Non faccio volutamente una sintesi del suo pensiero, ce ne sono di ottime ovunque, le librerie e le biblioteche sono lì per questo.

Ora, il nostro testo; “La porta” -composto probabilmente tra il ’41 e il ’42 e pubblicato in S. Weil, “Poesie”, Milano, Mondadori, 1998.

La porte

Ouvrez-nous donc la porte et nous verrons les vergers,
Nous boirons leur eau froide où la lune a mis sa trace.
La longue route brûle ennemie aux étrangers.
Nous errons sans savoir et ne trouvons nulle place.

Nous voulons voir des fleurs. Ici la soif est sur nous.
Attendant et souffrant, nous voici devant la porte.
S’il le faut nous romprons cette porte avec nos coups.
Nous pressons et poussons, mais la barrière est trop forte.

Il faut languir, attendre et regarder vainement.
Nous regardons la porte ; elle est close, inébranlable.
Nous y fixons nos yeux ; nous pleurons sous le tourment ;
Nous la voyons toujours ; le poids du temps nous accable.

La porte est devant nous ; que nous sert-il de vouloir ?
Il vaut mieux s’en aller abandonnant l’espérance.
Nous n’entrerons jamais. Nous sommes las de la voir…
La porte en s’ouvrant laissa passer tant de silence

Que ni les vergers ne sont parus ni nulle fleur ;
Seul l’espace immense où sont le vide et la lumière
Fut soudain présent de part en part, combla le coeur,
Et lava les yeux presque aveugles sous la poussière.

[traduzione di Roberto Carifi, curatore dell’edizione uscita da Le Lettere di Firenze nel 1993:]

Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,
Berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.
Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l’abbatteremo con i nostri colpi.
Incalziamo e spingiamo, ma la barriera è troppo forte.

Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.
Guardiamo la porta; è chiusa, intransitabile.
Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento piangiamo;
Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

La porta è davanti a noi; a che serve desiderare ?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio

che nessun fiore apparve, nè i verzieri;
Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce
Apparve d’improvviso da parte a parte, colmò il cuore,
Lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.

Attenzione al contenuto multimediale a sorpresa: QUI la registrazione della poesia letta ad alta voce da Selma Weil, madre di Simone.

  • S. Weil, “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”, a cura di G. Gaeta, Milano, Adelphi 1997 [5 ed. ma ristampa del 1983]