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“sottili arti di persuasione occulta”

18 dicembre 2010

Scusate, ma ho letto questo volantino d’antan sul manifesto di ieri (nella rubrica di citazioni a cura di Alberto Piccinini) e mi ha fatto ridere. Chiariamo un po’ il contesto: il volantino risale al 6 marzo 1977. Il giorno prima si era svolta a Roma una manifestazione non autorizzata per protestare contro la cosiddetta “sentenza Panzieri”, a seguito di un processo a ragazzi del movimento di area autonomista con l’accusa di “concorso morale” (?) in omicidio nei confronti di Miki Mantakas. Citiamo da qui:

la polizia comincia a sparare lacrimogeni contro il corteo che si è formato all’interno della città universitaria. Mentre le prime file fronteggiano la polizia, circa 10000 persone escono da un altro ingresso e […] raggiungono compatte piazza Argentina, dove la polizia le raggiunge e le carica. […] In serata Campo de’ fiori viene assediata dalla polizia, che fa uso di armi da fuoco e lancia lacrimogeni eseguendo un lungo rastrellamento. In via Arenula avviene una breve sparatoria tra poliziotti e militanti di sinistra. La polizia compie 7 arresti.

Sì, c’è scritto sparatoria, altro che cassonetti incendiati. Comunque, il giorno dopo Paese Sera e l’Unità parlano di “bande di squadristi aderenti ai cosiddetti collettivi autonomi” e gli indiani metropolitani rispondono col seguente comunicato:

Vogliamo ristabilire la verità sui fatti accaduti sabato scorso. Vogliamo respingere le false versioni dei giornali come “Lotta Continua” e “La Repubblica”. Gli unici giornali che a nostro avviso hanno dato una versione vicina alla realtà sono “Paese Sera” e “l’Unità”: noi in effetti eravamo scesi in piazza credendo erroneamente di svolgere una manifestazione unitaria contro la sentenza Panzieri, ma in difesa delle istituzioni giuridiche. Non essendo abituati al libero arbitrio, e mancando di una sana e salda guida, non abbiamo compreso che il lancio di candelotti e le raffiche di mitra della polizia ci comunicavano che la manifestazione era illegale e abbiamo così seguito cinquanta Autonomi con la seguente tecnica: duecento di noi dietro ognuno di loro, riconoscibili dai gonfiamenti a forma di pistola che avevano nella giacca, ovvero ci hanno guidato a Campo de’ Fiori dove siamo stati raggiunti da cittadini che avevano risposto a un’emittente sovversiva – Radio Città Futura – scendendo in piazza contro la loro volontà. In questa manipolazione della coscienza degli ascoltatori ravvisiamo il reato di concorso morale. Questi cinquanta squadristi ci hanno poi convinti a tirare delle bottiglie contro le autoblindo che con nostro stupore si incendiavano. Mentre la più parte di noi ancora in stato confusionale e vittima delle sottili arti di persuasione occulta di questi criminali, si trascinava al loro seguito, costoro iniziavano a distribuire fucili automatici, spacciandoli per innocenti fiaccole. Ringraziamo perciò il Direttore di “Paese Sera” e quello de “l’Unità” che ci hanno poi spiegato in cosa eravamo rimasti coinvolti, ristabilendo la verità sulle infiltrazioni di elementi violenti all’interno del movimento che invece non ha mai praticato la violenza.

Firmato: I RAGGIRATI DEL MOVIMENTO

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Se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato

17 dicembre 2010

Ancora sui fatti di Roma, dopo molte strumentalizzazioni, sospetti di infiltrati che probabilmente non c’erano, lettere di Saviano, risposte incazzate, controrisposte, dibattiti teorici sull’uso della violenza che potrebbero essere stati fatti trent’anni fa e presa di distanza da quella stagione.

Dunque: la lettera savianea dai toni a tratti inutilmente sprezzanti la trovate qui; sostanzialmente dice che c’erano i pochi violenti e tutti gli altri e che chi violento non è non dovrebbe giustificare l’incendio di una camionetta: questo è quel che vogliono loro, occhio alla strategia della tensione, etc. La prendiamo a pretesto come metonimia di tutte le critiche, non in quanto tale.

Al di là del tono, ha la grandissima debolezza del non aver capito quel che è successo: non, per esempio, la devastazione della sede della Protezione Civile (video qui dal min. 2:36) da parte degli aquilani e dei terzignesi legittimamente incazzati come faine.

Per delle risposte a R.S. molto incazzose si può andare qui: tra l’altro, si scrive

In realtà è proprio Saviano a dimostrarsi del tutto ignorante sulla strategia della tensione ed a rivelare pubblicamente il suo ruolo di pompiere e di depotenziatore del conflitto sociale, un ruolo per il quale è stato costruito e intorno al quale hanno costruito una sofisticata operazione culturale ed editoriale.

La critica principale è quindi: “quel che è successo a Roma si chiama conflitto sociale, non ha mediazioni ed è tanto più utile quanto più si approfondisce“. Risposte “di movimento” -scritte con l’inevitabile gergo di movimento che fa cagare- anche qui (“Quello di Roma è stato un gran giorno perchè abbiamo fatto paura, e non solo ai celerini schierati in piazza” Tutti insieme famo paura, si cantava: chiediamocelo -facciamo paura davvero?). Anche tale Paolo di Bologna (a cui si accoda il Bartleby, che evidentemente non aveva voglia di creare saperi sociali) risponde a Saviano qui su Global Project. Molte cose un po’ scemotte, ma una bella frase:

Pensaci un attimo, sono due mesi che la gente scende in piazza e questo movimento non ha ancora un nome, come nei romanzi di Saramago. Siamo sempre “quelli che hanno fatto questo” oppure ci dicono che siamo di un luogo “quelli dell’Aquila, di Terzigno”. E’ una forza, non credi? Vuol dire che siamo indefinibili: siamo quello che facciamo.

In ogni caso il merito è quello di uscire dall’alternativa violenza/nonviolenza: si è usata la violenza come un mezzo, dopo averlo ritenuto proporzionato, non è che la scelta è tra un corteo, un presidio o “la violenza”.

In compenso, Saviano peggiora la sua situazione, forse la risposta migliore è quella del sociologo Alessandro Dal Lago (che ha scritto quest’anno “Eroi di carta”) oggi sul manifesto che si conclude così: “Questione ben più seria è che sbocco avrà questo movimento, analogamente ad altri che si diffondono in Europa, perfino nella già compassata Inghilterra. Ma il primo passo per discuterne è prenderlo sul serio, rinunciare ai luoghi comuni rassicuranti…

E allora, la vogliamo fare un’analisi seria? Chi c’era in piazza del Popolo ha perlopiù condiviso quel che stava succedendo: solo suggestione collettiva della violenza? Marco Belpoliti sulla Stampa dice cose vere:

Se le rivoluzioni coltivavano il sogno dell’assalto al Palazzo d’Inverno, conquista del centro simbolico del potere, la rivolta avviene in modo molecolare con l’intento di condizionare materialmente l’andamento normale delle cose.

Intanto, molti oggi commentano l’articolo di Jon Savage sul Guardian sugli Smiths, ma noi ne abbiamo scritto ieri per primi, gnè gnè: però, tutti lo fanno meglio di noi e due ottime letture sono Simona Siri e Matteo Bordone (bellissimo articolo, peccato per la chiusa, anche se non è paternalistica, va detto).

Alla fine, una delle cose più belle che abbia letto su tutta questa faccenda, ai margini delle assemblee e di tutto il resto è qui sul Post: il racconto di un ragazzo qualunque, che ha partecipato all’Onda e se n’è andato schifato dai collettivi, che a Roma c’era e si è trovato ad essere d’accordo su quel che vedeva -quasi suo malgrado. Inizia così:

Io a Roma c’ero.
Quello che voglio qui raccontare non è tanto l’esperienza di quelle ore: chi c’era, chi è stato, chi ha cominciato per primo, poliziotti infiltrati sì, poliziotti infiltrati no.
Io voglio spiegare perché istintivamente guardavo quelle macchine bruciare e la mia testa diceva è sbagliato ma non potevo fare a meno di essere contento.

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Consigli per la contestazione

26 novembre 2010

Potrebbe essere un’idea, per le prossime manifestazioni contro la Riforma Gelmini, prendere esempio da alcune forme di protesta messe in atto al G20 di Toronto (carichiamo questo video, ma ce ne sono molti altri in giro per il Tubo)

Anche perché, oltre ad essere molto divertente ed efficace per mettere in ridicolo il potere e soprattutto la ritualità del cercare lo scontro con la polizia, eviterebbe di provocare dei Carabinieri fino al punto in cui non vedono l’ora di menare le mani su qualunque cosa si muova quando in prima fila nel corteo ci sono ragazzini delle superiori. Qualsiasi riferimento agli scontri di ieri davanti alla stazione di Bologna è puramente voluto.

Per il resto, saluti da una città dove il movimento universitario pare stanco, bloccato in un’impasse di irrilevanza o anche di mancata identificazione di forme e obiettivi specifici di lotta. Forse solo un segno dei tempi, forse manca il “fatto nuovo”.