S’è detto che il prossimo numero di Idioteca, che uscirà ai primi di settembre per un’iniziativa di cui presto scriveremo anche qui, sarà dedicato alla parola-chiave “(Pre)Fabbrica“. Mi raccomando, seguiteci sul blog!
Parlando di Fabbrica, scrittori, marxismo e poesia, tiriamo fuori dal cappello un testo di Simone Weil. Come dite? Biografia? E biografia sia.
Simone Weil (Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943), per chi non la conoscesse bene, è stata una filosofa francese della prima metà del secolo scorso -a parere di chi scrive, una delle figure più influenti della filosofia religiosa, e non solo, del Novecento.
Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.
"Due forze regnano sull'universo: luce e pesantezza" Da 'L'ombra e la grazia'
Così scriveva ella stessa nel 1934, a 25 anni, nel saggio “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” (leggetevi bene la voce su Wikipedia, fatta insolitamente bene): esso assomma le analisi di una giovanissima professoressa di filosofia al Liceo, di famiglia ebrea e cresciuta ascoltando le lezioni di alcuni dei docenti più influenti di allora, che critica le posizioni filosofiche ed economiche marxiane su una base ‘materialista’, con la critica al necessitarismo e rileggendo criticamente la categoria di oppressione. Coerente fino in fondo con le sue idee, deciderà di entrare nelle officine Renault per conoscere in prima persona e sul suo corpo (già provato da precedenti e precoci malattie) l’alienazione del lavoro di fabbrica alla catena di montaggio. Dalle lettere e dai diari di quel periodo scaturirà il libro La condizione operaia, pubblicato postumo.
Andrà poi a combattere coi repubblicani nella guerra civile spagnola, insieme agli anarchici, ospiterà Trotzkij a casa sua, continuerà a viaggiare per l’Europa approfondendo sempre più la radice religiosa del suo pensiero. In particolare nel saggio La prima radice tratterà la necessità umana del radicamento da un’Europa scossa dai venti di guerra e dal totalitarismo: la direzione cristiana e mistica si avverte anche nel suo rinnovato interesse per l’epica greca, per le radici della sua tragicità, il ruolo del destino individuale e l’universo di forze che vi si dipinge.
"Io sono convinta che la sventura da un lato, e dall'altro la gioia come adesione pura e totale alla perfetta bellezza, implicando entrambe la perdita dell'esisitenza personale, siano le uniche due chiavi per mezzo delle quali ci è possibile entrare nel paese puro, il paese respirabile; il paese reale" Da 'La Grecia e le intuizioni precristiane'
Fugge da Parigi quando viene invasa dalle truppe tedesche per riparare a Londra e unirsi alla Resistenza francese in esilio. A causa del digiuno intrapreso per sentirsi unita ai suoi connazionali nel paese occupato, le sue già precarie condizioni di salute precipitano e Simone Weil muore, a soli 34 anni, nel sanatorio di Ashford.
Molti dei suoi scritti saranno raccolti dai suoi amici, e pubblicati postumi. Essi comprendono lettere, estratti dai suoi quaderni, frammenti e altro ancora. Una bibliografia parziale ma esauriente si trova QUI.
Non faccio volutamente una sintesi del suo pensiero, ce ne sono di ottime ovunque, le librerie e le biblioteche sono lì per questo.
Ora, il nostro testo; “La porta” -composto probabilmente tra il ’41 e il ’42 e pubblicato in S. Weil, “Poesie”, Milano, Mondadori, 1998.
La porte
Ouvrez-nous donc la porte et nous verrons les vergers,
Nous boirons leur eau froide où la lune a mis sa trace.
La longue route brûle ennemie aux étrangers.
Nous errons sans savoir et ne trouvons nulle place.
Nous voulons voir des fleurs. Ici la soif est sur nous.
Attendant et souffrant, nous voici devant la porte.
S’il le faut nous romprons cette porte avec nos coups.
Nous pressons et poussons, mais la barrière est trop forte.
Il faut languir, attendre et regarder vainement.
Nous regardons la porte ; elle est close, inébranlable.
Nous y fixons nos yeux ; nous pleurons sous le tourment ;
Nous la voyons toujours ; le poids du temps nous accable.
La porte est devant nous ; que nous sert-il de vouloir ?
Il vaut mieux s’en aller abandonnant l’espérance.
Nous n’entrerons jamais. Nous sommes las de la voir…
La porte en s’ouvrant laissa passer tant de silence
Que ni les vergers ne sont parus ni nulle fleur ;
Seul l’espace immense où sont le vide et la lumière
Fut soudain présent de part en part, combla le coeur,
Et lava les yeux presque aveugles sous la poussière.
[traduzione di Roberto Carifi, curatore dell’edizione uscita da Le Lettere di Firenze nel 1993:]
Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,
Berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.
Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l’abbatteremo con i nostri colpi.
Incalziamo e spingiamo, ma la barriera è troppo forte.
Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.
Guardiamo la porta; è chiusa, intransitabile.
Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento piangiamo;
Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.
La porta è davanti a noi; a che serve desiderare ?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio
che nessun fiore apparve, nè i verzieri;
Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce
Apparve d’improvviso da parte a parte, colmò il cuore,
Lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.
Attenzione al contenuto multimediale a sorpresa: QUI la registrazione della poesia letta ad alta voce da Selma Weil, madre di Simone.
- S. Weil, “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”, a cura di G. Gaeta, Milano, Adelphi 1997 [5 ed. ma ristampa del 1983]
44.496708
11.351789