Archive for settembre 2010

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Questa domenica in settembre…

26 settembre 2010

Banale da parte nostra, d’accordo, ma nulla da aggiungere. Diciamo solo che alcune volte fa un po’ più male di altre.

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Pavoni di grandezza inusitata si stagliano nel cielo di Bangkok

23 settembre 2010

Com’è possibile che finora sul blog dell’ Idioteca ci siamo dimenticati di mettere questo??

Bollani imita Battiato, con risultati… ?

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Roma, 20 settembre 1870

20 settembre 2010

Intendiamoci, nulla di personale.

E’ solo che tra tutte le varie celebrazioni bipartisan per il decreto-legge su Roma capitale, mentre il cardinale Bertone è presente alle celebrazioni per il XX settembre perché invitato nel rispetto di un ritrovato accordo tra le istituzioni laiche e quelle ecclesiastiche per il bene comune della Nazione per superare sterili contrapposizioni ereditate dal passato, ecco (vietando tra l’altro le manifestazioni a Porta Pia per la giornata di oggi);

il blog dell’Idioteca ci tiene a ricordare che se siamo arrivati a questo punto è perché abbiamo dovuto invadere militarmente un cazzo di stato teocratico assoluto, senza libertà di stampa, culto e nemmeno opinione, burocratico e clericale, tenuto in piedi da truppe straniere, alleato dei peggiori reazionari d’Europa e che ha deliberatamente fomentato rivolte nei territori conquistati dalle truppe sarde prima e proibito la partecipazione della maggioranza della popolazione alla vita pubblica poi.

Oh sì, certo, non che siamo rimasti a quel punto; non che la Chiesa Cattolica non si sia evoluta; non che tutto quel che c’è stato dopo sia stato meglio di quel che c’era prima; ma ci tenevamo a ribadirlo.

Anche perché se abbiamo la libertà di farlo, è perché quelli hanno perso contro la direzione che prendeva la Storia, bitches.

Bonus: ma sì, esageriamo. Questa è la manifestazione di quei simpaticoni dei Radicali ieri, per tutta la registrazione QUI.

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C’è chi dice no

19 settembre 2010

Marchionne è riuscito a fare, in appena due anni, ciò che l’attuale presidente del consiglio non è riuscito a fare in quindici: eliminare la Cgil dal tavolo delle trattative. La parola d’ordine di questa operazione (quasi) riuscita è “sgretolare la base” del primo sindacato italiano. Infatti gli anni di scontro frontale fra il “quadrato rosso” e le istituzioni conservative del governo, hanno visto quasi sempre vincente il primo, mentre le seconde si leccavano le ferite inferte dai milioni di lavoratori scesi in piazza – ad esempio – il 23 marzo 2002. Un cambio di strategia era d’obbligo. Ecco quindi la formula Marchionne, appoggiata ovviamente da governo e Confindustria (sotto ricatto: la Fiat ha minacciato di uscirne se Federmeccanica non avesse recesso il contratto del 2008) e sostenuta meno ovviamente anche da Cisl e Uil, che da anni attendevano l’occasione per spingere la Cgil nel baratro. Un’alleanza forte, difficile da contrastare, soprattutto se il maggior partito d’opposizione è diventato il minor motivo di cruccio per la maggioranza: la debolezza del centrosinistra e spesso la collusione del Pd con la “cricca” hanno anestetizzato gran parte della reattività anche della Cgil, che si è a sua volta ammalata di quel vizio assurdo della sinistra italiana cioè la lotta interna, la parcellizzazione mozionaria fino alla frammentazione dell’atomo. Condizioni che, insieme alla crisi economica, hanno rappresentato la palla al balzo per Marchionne per cancellare la Cgil e quindi il ruolo del Contratto nazionale di lavoro.

Questi gli obiettivi coi quali l’ad di Fiat ha presentato il referendum a Pomigliano d’Arco, chiedendo ai lavoratori se approvassero un investimento di 700 milioni di euro nello stabilimento campano. Ma il risultato che ne è uscito è stato forse il peggiore immaginabile per Marchionne: il 62% di sì dimostra che la maggioranza dei lavoratori vuole l’investimento e vuole che la Fiat resti a Pomigliano; ma il 38% di no evidenzia che una larga parte dei dipendenti ha compreso la vera domanda nascosta dietro il posticcio quesito referendario, ovvero: “Caro operaio, preferisci continuare a lavorare perdendo tutti i tuoi diritti o rimanere per strada senza sapere come sfamare i tuoi figli?”. Questo 38% è rimasto lucido ed ora rimarrà in Fiat con un’ostile consapevolezza rispetto alle mire dell’azienda: fatto poco bello per Fiat. Marchionne ha cercato il plebiscito ma è tornato a casa con la coda fra le gambe. Ora l’asse Fiat-Marcegaglia-Cisl&Uil dovrà prendere tempo. Il plebiscito avrebbe consentito una spalmatura immediata del modello Pomigliano su scala nazionale, mentre oggi si dovrà procedere più lentamente. Forse per Marchionne non sarà un dramma ma lui è abituato a farle bene e in fretta le cose ed oggi i suoi obbiettivi sono da raggiungere obbligatoriamente in fretta, se no rischiano addirittura di saltare. Non tutte le epoche sono disposte ad accettare il dogma secondo il quale “i diritti sono una variabile dipendente dal mercato”; Marchionne questo lo sa e vuole accelerare il suo disegno, che relega il sindacato a semplice strumento per ammortizzare la conflittualità all’interno della fabbrica del futuro. “Basta con il sindacato rivendicativo e sociale – afferma Marchionne – Anch’esso deve lavorare, al fianco della proprietà, per la competitività dell’azienda”. Nella pratica, l’idea del dirigente chietino è realizzare delle neo-corporazioni che si facciano concorrenza reciproca. In questo modo l’operaio dovrebbe sottostare ai sacrifici imposti dal mercato, rinunciando a diritti e retribuzione nel nome della “causa comune” della competizione. I sindacati intanto dovranno cambiare identità, lasciando cadere il principio della solidarietà fra i lavoratori e svolgendo solo semplici funzioni di caporalato interno: praticamente i delegati potranno stare comodi ad aspettare le direttive dei vertici aziendali e garantire il rispetto dell’accordo che, partendo da Pomigliano, potrebbe estendersi all’intero Paese. Molto semplici i punti dell’accordo firmato da Cisl e Uil: basta con le pause, le otto ore si fanno filate; basta con le 11 ore di sosta per l’operaio fra un turno e l’altro, riduciamole; no per tutti al riconoscimento dei primi 3 giorni di malattia, se il periodo registra un picco di assenteismo nello stabilimento; no allo sciopero nei giorni comandati; incremento del ritmo di produzione e soprattutto la clausola che stabilisce provvedimenti disciplinari e licenziamenti facili in caso di mancato rispetto dell’accordo. In pratica Marchionne sta tentando di riscrivere le regole del lavoro dipendente, riportandole a tempi pre-sindacali. In questo senso è curioso sentire come l’ad di Fiat bolli di “passatismo nostalgico” le posizioni mantenute dalla Fiom, quando l’unico nostalgico sembra essere lui, nostalgico del lavoro di stampo ottocentesco. Se il modello Pomigliano dovesse estendersi, gli operai potrebbero ritrovarsi da soli di fronte ai vertici dell’azienda, senza la mediazione del sindacato; pertanto ogni dipendente avrebbe in mano un potere di contrattazione ridicolo e la fissazione di eventuali diritti diventerebbe una scelta autonoma della proprietà aziendale.

Però a Pomigliano qualcuno ha detto no (e la Fiom non ha il 38% degli iscritti a Pomigliano). Ha detto no chi non ha sopportato l’idea di entrare in competizione con i colleghi degli altri stabilimenti; ha detto no chi si è rifiutato di appoggiare una guerra fra poveri che combattono per un pugno di noccioline; ha detto no chi intende creare un ponte di solidarietà non solo con i lavoratori italiani, ma anche con quelli polacchi, serbi, cinesi, con i lavoratori di tutto il mondo; chi crede che l’uguaglianza globale non corrisponda alla perdita di diritti per gli operai occidentali, ma alla conquista di diritti da parte di tutti gli altri. Da questo 38% non può non nascere una speranza. Ma bisogna agire, subito e senza divisioni. Le cause dei metalmeccanici possono diventare davvero le cause degli studenti, degli operatori culturali, dei braccianti sottopagati, dei migranti schiavizzati, le cause di ogni cittadino stremato dall’essere complice di un meccanismo che asservisce e toglie diritti al lavoro. Agire e subito. A livello contrattuale, pretendendo in ogni sede la riconferma del contratto 2008; a livello legale, verificando se il recesso di Federmeccanica è nei crismi della legalità (anche un minimo conoscitore della storia dei diritti e del lavoro sa che il termine “recesso” non è mai stato storicamente contemplato in questo genere di trattative); a livello di mobilitazione, rispondendo uniti all’appuntamento a Roma del 16 ottobre, in cui si griderà a gran voce che i diritti conquistati non siamo disposti a lasciarli per strada. Bisogna prepararsi bene, perché possiamo contare solo sulle nostre forze, non su quelle di una Cgil da riqualificare né tanto meno su quelle di un centrosinistra ambiguo e diroccato o che, peggio, sottilmente avvalla le posizioni del governo perché del governo è diventato dipendente. E dovremo fare attenzione, dovranno fare attenzione soprattutto gli operai, perché il pericolo non è tanto in un imprenditore, Marchionne o chi per lui, che dal suo punto di vista sta lavorando egregiamente, ma piuttosto da quei signori rassicuranti che invece di fare il proprio mestiere, cioè difendere i lavoratori, si piegano alle più becere logiche del profitto aziendale, evidentemente per una convenienza economica o per una convenienza di prospettiva: diventare sindacalisti-caporali, senza obblighi di contrattazione e senza la Cgil a mettersi di traverso. Questi signori sono molto più condannabili di Marchionne ed è comprensibile (ma non giustificabile) la rabbia con la quale sono zittiti nelle occasioni pubbliche. Ricordiamoci però che non sarà la violenza la strada per non perdere i diritti; ricordiamoci che così gli si permette di sfoderare il vittimismo, mentre è con il confronto democratico che vanno atterrati questi signori. La violenza è un errore nel merito e nel metodo, invece il confronto apre le porte della consapevolezza collettiva. Non è un caso infatti che in molte fabbriche la Fim stia disertando le assemblee nelle quali sono presenti anche i rappresentati della Fiom. È con questa presa di coscienza che dobbiamo mobilitarci.

Se il modello di Marchionne dovesse davvero vincere, anche le più pessimistiche previsioni sul destino dei lavoratori dipendenti potrebbero essere superate in peggio. I proletari di tutto il mondo non si sono mai uniti, gli industriali invece sì e adesso preparano l’offensiva più grande, quella che solo in un periodo di crisi si può attuare, con un governo reazionario disposto a confondere il paese ed un’Europa non ancora immune dal virus della xenofobia. Tre o quattro anni fa questo scenario non sarebbe mai stato ipotizzabile, ma la storia si è velocizzata, segue il ritmo dell’innovazione tecnologica ed il risultato tutto italiano è che in soli due anni sono state rifondate le basi del lavoro e sono mutate del tutto le regole di mercato. Cambiare questo sistema che avanza è difficilissimo, ma forse è una causa per quale vale la pena combattere.

(Mirko Roglia)

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Manifestazione ad Adro (BS), 18 settembre 2010

18 settembre 2010

Due righe di spiegazione: in seguito alla nota inaugurazione, ad Adro (BS), di una scuola elementare intitolata a Gianfranco Miglio e recante, nella grande maggioranza degli arredi scolastici, il simbolo del Sole delle Alpi (o rosa celtica, di uso abbastanza comune nelle decorazioni rupestri e di oggettistica nell’arco alpino e non solo), associato ormai da anni -ne è un marchio registrato, guardate- al movimento politico “Lega Nord – Padania”, che ha la maggioranza nella giunta comunale di Adro.

Sia la minoranza in consiglio comunale, che le rappresentanze dei partiti a livello nazionale hanno dunque chiesto con forza al Ministro dell’Istruzione la rimozione di quei simboli, perché la scuola di Adro è pubblica (è inoltre seggio elettorale, non va dimenticato); il caso, di lì, è rimbalzato sulla stampa e sulle televisioni nazionali. Dal momento che la giunta non ha raccolto la segnalazione, al contrario difendendo la scelta, e il ministro l’ha derubricata a “folklore”, per la mattina di sabato 18 è stata indetta una manifestazione di protesta, aperta a tutte le sigle politiche, alle associazioni e  alla cittadinanza.

Questa che segue è una testimonianza filmata dalla giornata di oggi, che riprendiamo cortesemente dal blog de ilNichilista, di Fabio Chiusi. Buona visione.

P. S. La risposta alla domanda della signora “Ma c’è qualcuno che non mangia?” è sì. Il comune di Adro era già finito sotto i riflettori qualche mese fa per un altro caso di cronaca, ricordate? I bambini dai genitori morosi sulla rata della mensa scolastica vennero privati del pasto: anche allora l’interesse dei mass media fu stimolato (vi fu una puntata del popolare programma ‘Annozero’ di RaiDue sul fatto, QUI QUI e QUI), anche allora il gruppo consiliare della Lega Nord – Padania si schierò a difesa del sindaco Oscar Lancini. Con questo documento.

Loro stanno con i genitori, non con i cervelli. Già.

P.P.S. Parrebbe anche che la manifestazione di stamattina (ci sono anche gli interventi filmati di Civati e di Puglisi) qualche effetto l’abbia sortito: vedi qui. Un’ultima postilla: non avete idea di quanto sia difficile non insultare nessuno scrivendo un post su questo argomento.

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Attack!

17 settembre 2010

Tutti noi abbiamo bisogno di riferimenti nella vita, anche per quel che riguarda i casi dell’attualità politica, sociale e culturale.

In un mondo che cambia velocemente e pone davanti a noi ogni giorno nuove sfide, è difficile dare un senso agli eventi che ci circondano: senza contare che spesso, guardandoci intorno, non possiamo a fare a meno di notare come le nostre stesse classi dirigenti siano inadeguate e spesso troppo concentrate su questioni futili, invece che guardare avanti.

Così avviene che in molti, me compreso, si ritrovino sovente nelle considerazioni che opinionisti, specialisti di settori o semplici persone che si occupano di informazione offrono -anche sulla rete.

Tutto questo per dire che ho trovato il mio opinion leader nonché nuovo sito di riferimento, così lo consiglio anche a voi.

http://prospettivedimila.tumblr.com/

Mi raccomando, scorretelo tutto. In particolare, vorrei segnalarvi questi tre: http://tinyurl.com/3499ke3 http://tinyurl.com/276f5sv

http://tinyurl.com/2g7sqpm

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“Radici di mangrovia”: incontro a Modena sulla letteratura della migrazione

11 settembre 2010

Giovedì 16 settembre

ore 18.30

Festa dell’Unità di Modena

Locandina dell'incontro

Organizza il tutto la rivista Mumble: (con dentro un pezzettino di Idioteca)

Veniteci perché sarà bello, stimolante, pieno di temi e di persone interessanti. Citiamo dal comunicato-stampa:

La letteratura migrante in lingua italiana (o letteratura italiana della migrazione) comprende gli scritti prodotti in lingua italiana da scrittori migranti non di lingua madre italiana”. Questa è la definizione più didascalica per tentare di definire un fenomeno socio-culturale che non è né una corrente letteraria né il manifesto di uno stile. In Italia la letteratura della migrazione ha preso piede negli ultimi trent’anni, per motivi spesso riconducibili alla migrazione delle genti oppure a condizioni post-coloniali.

Gli scrittori presenti il 16 settembre a Modena rappresentano uno spaccato di questa realtà: con loro parleremo della letteratura oggi, delle condizioni della cultura in Italia, dell’integrazione come percorso di uguaglianza e libertà, dell’arte come forma di circolazione delle diversità.

Gli autori presenti saranno: Erminia dell’Oro, Julio Monteiro Martins, Shirin Ramzanali Fazel, Roberta Sangiorgi. Ancora dal comunicato-stampa:

Erminia Dell’Oro è nata ad Asmara – Eritrea – dove suo nonno paterno si stabilì nel 1896. Si è trasferita in Italia – a Milano – ma ha sempre mantenuto stretti contatti con il popolo eritreo, scrivendo numerosi reportage, anche come inviata durante la guerra Eritrea-Etiopia. Ha scritto libri per adulti, ragazzi e bambini, alcuni legati alle tematiche del colonialismo italiano, della Shoà, delle guerre e delle recenti e drammatiche immigrazioni. Ha lavorato per quindici anni nella storica Libreria Einaudi di Milano, ed è stata lettrice per vari editori.

Julio Monteiro Martins è uno scrittore, avvocato e docente universitario brasiliano. Autore bilingue, ha scritto i propri lavori letterari in portoghese tra il 1975 e il 1994, mentre dal 1998 in poi in italiano. Vive tra Lucca e Rio de Janeiro. Dirige e insegna nel Laboratorio di Narrativa, che è parte del master della Scuola Sagarana, a Pistoia, e dirige la rivista Sagarana on-line.

Shirin Ramzanali Fazel è una delle prime scrittrici del movimento conosciuto come letteratura italiana della migrazione. I suoi scritti sono studiati in Italia e all’estero Mamma somala, papà pakistano. Il padre nativo di Zanzibar, andò per la prima volta in Somalia quando l’Italia aveva perso formalmente le colonie e gli inglesi presero possesso dei territori. Il suo più grande successo editoriale è Lontano da Mogadiscio.

Roberta Sangiorgi ha fondato e tuttora dirige l’associazione interculturale Eks&Tra, tesa a promuovere l’integrazione attraverso la cultura artistica e letteraria. Autrice e curatrice di numerose antologie sulla letteratura migrante, da 15 anni coordina il primo premio – appunto il premio “Eks&Tra” – rivolto agli scrittori migranti.

Con lei ci saranno i giovani autori Raol Lolli, Danny Labriola, Ouissal Meiri, Moira Pulino.

Servono forse altre ragioni per venire?

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“Il ponte”, di Vitaliano Trevisan

7 settembre 2010

Tutto quel parlare di libertà e di diritti, quell’incessante cicaleccio che dura ancora oggi a proposito del Sessantotto e della libertà che avrebbe portato, e che continuerebbe a irradiare, che a guardar bene, si è tradotta in libertà di comprare e consumare, libertà e diritto entrambi apparenti s’intende, perché in realtà non c’è libertà né diritto, ma bensì il dovere di comprare e di consumare, e si compra e si consuma tutto, beni materiali e beni immateriali, valori reali e valori assolutamente irreali, mentre la cosa straordinaria non è tanto che si venda qualcosa che non c’è, né che si compri questo qualcosa che non c’è; ciò che davvero mi stupisce è che questo qualcosa che non c’è, pur non essendoci, si consuma e crea un vuoto; e siccome esiste solo in quanto pensiero, ovvero nella testa, esso si consuma nella testa e determina un vuoto nella testa, che, per inciso, è sempre e comunque una testa di mercato, visto che non c’è più nemmeno la possibilità di un pensiero alternativo, e dunque non c’è più pensiero. Se un albero si giudica dai frutti, e non dalle intenzioni, l’albero del Sessantotto lo si potrebbe benissimo usare come legna da ardere.

V.T. da Il ponte, Torino, Einaudi, 2007 (costando 13 euri)

Appena incontro Vitaliano Trevisan gli spacco il muso: un buon destro con rotazione di tallone-bacino-torso-spalle che si sgancia tipo fionda e gli arriva come una transiberiana giusto sull’arco sopraccigliare, o magari – perché no – in pieno naso. Il motivo (ammettendo che debba esserci motivo per una sana sabongia) è assai semplice: non si può condensare tanta verità – tanta dolorosa verità – in sole centocinquantatré pagine. È un gesto irresponsabile, folle, compiuto in totale spregio della pubblica incolumità (se non fossimo in Italia).

Il ponte – opera che segue il magistrale esordio de I quindicimila passi (che col senno di poi si può definire “embrionale”) è – come ricorda nel sottotitolo l’autore – la narrazione, la fissazione, l’elaborazione di un crollo che investe ogni elemento, ogni costruzione del protagonista Thomas. L’incipit è la morte e la chiusa è un’altra morte, anche se più sfumata, liberatoria (in realtà la polisemia ascendente-discendente con la quale Trevisan conclude l’opera è, oltre alla prova di un estro evidente, il segno tangibile di un discreta furbizia tecnica). Racchiusa fra i due “decessi”, si svolge una storia chiaramente banale, monotona (le ripetizioni sono il grande trucco ad effetto di Trevisan, che le utilizza per costernare il lettore, indurlo alla frenesia divoratrice, colpirlo con una sofferente noia che erode gradualmente ogni mattone del ponte), una storia dicevamo, che è analizzata in tutte le sue possibilità, quelle patologiche ed ossessive, quelle concrete. C’è crudeltà nella scientifica serietà con cui l’autore dilania la stabilità cerebrale di Thomas, fino a concedergli la possibilità di trovare l’equilibrio solo nell’annullamento completo del brusio circostante, composto da madri anaffettive e padri irretiti, percezioni di responsabilità tremende, disagi, afasie, ricerche di bandoli introvabili.

Così scorre un libro che farete fatica a definire romanzo, narrativa classica. Il ponte ricorda per certi versi il romanzo civile e per altri il pamphlet, vedrete al suo interno alcuni snodi classici del romanzo di formazione ma sarete spiazzati dall’ambiguità dell’intreccio, fatto di approdi assai nebbiosi, alla Kafka. E poi le contraddizioni, che sono una sfaccettatura delle ripetizioni: Trevisan dà voce alla realtà, che è multiforme e quindi contraddittoria, la verità non è mai una sola, cambiano le condizioni e già vedo il panorama tinto di un altro colore.

Infine la scrittura, personale, vera: lunghe subordinate in controtendenza con la “scuola” in decadenza della narrativa italiana, punteggiatura a tratti sovrabbondante, che rende la lettura sincopata, ansiosa. In una parola Trevisan riesce – più o meno volutamente – a congiungere al massimo significato e significante, senso ed oggetto linguistico, messaggio e strumento di lavoro.

Per la ciclicità che esprime la storia, Il ponte potrebbe essere paragonato – con tutto il dovuto rispetto – a Proust. Anche nel libro di Trevisan infatti è impossibile scappare dalle pagine precedenti, anche qui tutto si ripete ma mai in maniera identica, anche qui la memoria – quella vera – è la comunicazione, il dialogo con il nostro passato e non – quella falsa – che cristallizza gli avvenimenti fino a farli apparire distorti per il vizio artificiale della macchina fotografica.

Un buon pezzo di letteratura italiana, che può piacere o non piacere, ma al quale va tributato un plauso se non altro per la novità fresca di una scrittura complessa e colta, che fissa una “piccola storia ignobile” come ignobile può essere solo la vita realmente vissuta. Un libro da salvare nella marea indistinta del mercato editoriale italiano, che arranca quasi solo producendo “casi letterari” capaci di vincere premi e sparire come meteore, oppure di librucci da boom commerciale a suon di sponsorizzazioni televisive. Con Trevisan si nota un’autenticità di fondo della scrittura, della storia dell’autore, al quale affido la conclusione di queste righe: Siamo gettati nel mondo per ragioni che non ci riguardano e dobbiamo arrangiarci, la verità è questa.

(Mirko Roglia)

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Tout se tient

6 settembre 2010

Soltanto due cose veloci veloci (parleremo diffusamente di com’è andata a Modena e degli appuntamenti prossimi venturi più avanti), su piccoli particolari della politica nazionale. Ricordate sempre che Dio sta nei dettagli.

  • Questo passaggio di un’intervista al Ministro della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca, fan di Vasco Rossi (perché questa cosa non mi stupisce? adesso capisco tutto, giuro. Tout se tient) e a cui non solo sfugge l’ovvio, ma che chiede anche di “non rovinarle Albachiara”.
  • Alla festa regionale del PDL emiliano-romagnolo, che si terrà a Bologna dal 7 al 12 di settembre, dopo un incontro con Gasparri e Lupi (auguri), sabato sera alle 21,30 tutti a fare festa con JERRY CALà E LA SUA BAND! Jerry Calà; giuro. Pensateci: il PDL; Berlusconi; Mediaset; gli anni ’80. Tout se tient.
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Idioteca @ Indidee, il festival della stampa indipendente

3 settembre 2010

Solo una breve segnalazione, ché andiamo di fretta e poi brevitas mihimet ipsi amicissima est.

Domenica, giorno di festa. Ecco, anche noi festeggiamo: e siccome siamo una rivista indipendente (da chi? Boh, ci hanno detto di dire così), andiamo dove fanno festa le riviste indipendenti. Dove? A Modena, alla Festa dell’Unità Provinciale, zona Ponte Alto. Quando? Domenica 5 settembre, dalle ore 15 fino a chissà quando. Organizza il tutto ed invita la rivista Mumble:, diretta dall’esimio Roglia.

Et voila le volantin!

Eccoqqua.  Chi volesse venire è sempre il benvenuto. Chi della redazione avesse bisogno di un passagio, chieda. Citiamo dal sito di Mumble:

Hanno detto di sì finora – oltre ovviamente a noi sottoscritti: Argo, Youthless, SIC (Scrittura Industriale Collettiva), Ernest,, Il Rasoio, GIUDA edizioni, Epoc Ero Uroi, Libera Critica, Colon magazine, Progetto Babele, Grassetto, Confraternita dell’Uva, Idioteca, Rivista Inutile, Seconda Vista, Schiaffo edizioni, Popcorner Factory, Follelfo.

—più vari et eventuali…

La giornata inizierà alle 15 con l’apertura dello spazio dedicato ai banchetti delle riviste: il Mercato delle Idee a Gratis.
Durante il pomeriggio con interviste mirate tenteremo di conoscere insieme il mondo della cultura indipendente, quella che suda e non ha mai un soldo per intenderci. Quella che pubblica cose strane, strampalate, scottanti. Quella che scrive ovunque. Insieme tenteremo di unire le menti e la fantasia per consegnare al pubblico il frutto di un lavoro collettivo.

Ci vediamo a Modena, allora!

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Mentre noi scriviamo

2 settembre 2010

Abbiamo parlato qualche giorno fa di qualcuno che, tra le altre cose, ha vinto nel 2007 il premio Polaris battendo anche un album che si chiamava Neon Bible. A questo punto, alcuni di voi ci saranno già arrivati; mentre noi scriviamo, al Parco Nord di Bologna, per l’Independent days festival. Loro sono molto molto bravi, tra l’altro. Volendo, dopodomani ci sono Blink 182, Sum 41, Simple Plan…

Un piccolo omaggio a loro, e un piccolo regalo a chi leggendo il prezzo ha pensato “no, dài, cazzo, 32 euro no” venga da questo blog (grazie a Massi per la segnalazione):

Di quest’esibizione è l’intensità e, oserei dire, quasi la commozione di Bowie che colpisce. La redazione consiglia di guardarselo a pieno schermo (anche se la definizione ci perde) e a pieno volume.

Queste sono parole del cantante, Win Butler, in un’intervista:

Whenever you’re talking about meaning, basically… I think a lot of the human experience has to do with trying to understand what things mean, and there’s not really any tools to do that unless you’re thinking about it in a more spiritual or philosophical realm. I think hope only means anything if it’s in something real; otherwise, it’s just kind of a dream.[…]  I just saw this thing on Martin Luther King, and before he gave the “I have a dream” speech, he gave a lot of speeches that were about a more negative dream—that you had to face your broken dreams. He spoke about that a lot, the broken American Dream, seeing it for what it really is, the positive and negative. Sometimes religious thinkers can take that on in a different way.

(ogni volta che parli di senso, in fondo… Penso che molta dell’esperienza umana abbia a che fare col provare a capire che senso abbiano le cose, e non è che ci siano molti strumenti per farlo a meno che non ci pensi in modo più spirituale, più filosofico. Penso che la speranza abbia senso solo se è mesa in qualcosa di reale, altrimenti è solo una specie di sogno. […] Ho appena visto questa cosa su MLK, e lui prima di fare il discorso ‘I have a dream’, ha tenuto molti discorsi che erano su un sogno più negativo -sul fatto che si devono affrontare i propri sogni infranti. Di questo ha parlato molto, di un ‘sogno americano infranto’, vedendolo per quel che davvero era, positivo e negativo. A volte i pensatori religiosi riescono a caricarlo in un modo diverso.)

Bonus: una cosa che violenterà le vostre orecchie e che vi pentirete amaramente di aver ascoltato sta QUI.

Bonus-2: gli Arcade Fire sono quelli che si possono permettere di fare pubblicità ai propri live con video da figata assoluta (Clide Henry, ladies and gentlemen!) come QUESTO.