Posts Tagged ‘giornalismo’

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Segnalazioni sparse.

11 aprile 2011

Almeno siamo coerenti e non cerchiamo un titolo figo che tenga insieme della cose che nei fatti insieme non ci stanno.

1) Stasera alle 21, al Vag61 si presenta il volume sulla “Volante Rossa” alla presenza dell’autore. Partecipazione caldamente consigliata.

2) Sul blawg dei Wu Ming, traduzione dell’intervento di Wu Ming 1 alla University of North Carolina sul tema “A cosa assomiglia una rivoluzione?“. Per l’occasione vengono introdotti Proust, Majakovskij, Deleuze, la stampa socialista italiana nel 1917 e altro ancora. Lungo ma necessario. Riportiamo:

Un movimento rivoluzionario non si espande per contaminazione, ma per risonanza. Qualcosa che si costituisce qui risuona con l’onda d’urto di qualcosa che si costituisce laggiù. Il corpo che risuona lo fa nel modo che gli è proprio. Un’insurrezione non è come l’espansione di una pestilenza o di un incendio nel bosco – un processo lineare che si estenderebbe col contatto ravvicinato a partire da una scintilla iniziale. E’ piuttosto qualcosa che prende corpo come una musica, le cui sedi, anche quando disperse nel tempo e nello spazio, riescono a imporre il ritmo della propria vibrazione. A prendere sempre più spessore. Fino al punto in cui qualunque ritorno alla normalità non possa più essere desiderabile, e nemmeno attuabile.

3) Mentre siamo “distratti” dalla guerra in Libia (e anzi quasi ci dimentichiamo anche di quella), continuano i massacri dell’aviazione israeliana a Gaza.

4) Non so se è un problema solo mio, ma a me la cover di “Where is my mind?” dei Pixies che si trova nella colonna sonora di Sucker Punch piace. Ora, ascoltatevela e ditemi se devo farmi curare.

5) Ora, l’altro giorno -dramma planetario- Sasha Grey si è ritirata dalle scene di QUEL tipo di film. In segno di lutto molti hanno portato una fascia nera alla mano, ma non è questo il punto. Il punto è che a conclusione della nota su Facebook con cui ha comunicato il suo ritiro ha firmato “Lotta Continua”. In italiano.

Se Sasha Grey si unisce alla sinistra rivoluzionaria fidatevi che per il movimento è la volta buona.

6) L’onorevole Domenico Scilipoti, del gruppo parlamentare dei Responsabili promuove, alla Camera, un incontro con Pippo Franco e altri oratori su omeopatia, lettura dell’aura e scie chimiche.

7) Cosa cerca chi parte dall’altra sponda del Mediterraneo, quali sogni ha chi parte a 20 anni per un altro paese? Ce lo spiega benissimo Gabriele del Grande, grazie a una canzone.

8) Un modellino a tre piani di New York ricreata in maniera assai strana da Alan Wolfson, via il Post.

9) Gente che vuole camminare “Da Milano a Napoli ricuciamo l’Italia con i nostri passi. In un viaggio da fare insieme attraverso l’Italia, a piedi.” e parte il 20 maggio, tutte le informazioni del caso su Carmilla.

10) Se sapete l’inglese bene e volete tenervi aggiornati con della buona informazione su quel che continua a capitare in Algeria, Bahrain, Gibuti, Costa d’Avorio (vista la situazione), Arabia Saudita, Swaziland, Siria, Tunisia, Emirati arabi uniti e Yemen ecco un post contenente tutti i link che possiate desiderare.

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Videogames, una storia d’amore.

5 febbraio 2011

DISCLAIMER: a me piacciono i videogiochi; io gioco con i videogiochi. La redazione di Idioteca no, buona parte della redazione si crede troppo intelligente e chic per farlo: beh, si fotta.

Ieri sera ero a casa al pc, con la televisione in sala accesa su Rai News 24. Erano quasi le 21 e stava passando questo servizio, intitolato “Porto d’armi“. Uno dice, benissimo, si cercherà di seguire il numero e la produzione delle armi nel mondo, no? Vedere l’azione di lobbying delle multinazionali del settore per liberalizzare le leggi in materia (tip: in Italia l’abbiamo fatto a inizio 2006)? Vedere come in Europa ne cresca di anno in anno la produzione? No, il servizio era un assemblaggio puerile e disinformato di spezzoni di film e scene di gente che spara e che toccava un po’ di tutto: dal caso di Gabrielle Giffords, all’America cattivona dove tutti possono comprare armi, anche “i grassoni del Kentucky o i nazisti dell’Illinois” (sic), come se il problema fosse nell’esistenza del porto d’armi in sé e non nel fatto che le leggi di alcuni (non tutti: sono 50 leggi diverse) stati americani sono eccessivamente permissive.

"Scusi, lei ha passato l'esame, ma è un grassone del Kentucky, quindi niente porto d'armi"

A tutto ciò si aggiunga che quella che vorrebbe essere un’inchiesta era condotta interamente sul web: nulla di male, anzi, se non fosse che si premetteva ogni volta che “su internet c’è scritto che” e non si usava il web per trovare informazioni competenti, ma discorsi da bar. “Uuuuh, su un forum dicono che a Palermo vendono le armi al mercato nero!” Ok, allora preoccupiamoci del mercato nero, no? No. Poi c’è tutta una parte ridicola sulla Glock come se non fosse commercializzata da decenni e come se pressoché chiunque non ne abbia mai vista una, nemmeno al cinema.

Già qui mi ero alzato dalla scrivania e stavo sbraitando contro il televisore. Proprio però quando il servizio sembrava finire, parte uno spin-off del servizio sui videogiochi (siccome il video è in streaming, aspettate un 10 minuti e arriva). E lì si precipita. Viene presentato così: “ci sono tanti modi per alimentare il consumo di armi” -e si passa ai videogiochi. Bum.

Appare un signore corpulento sulla sessantina vestito come Philippe Daverio, che il sottopancia (…) qualifica come Gabriele di Matteo della redazione di Repubblica. Una rapida ricerca online permette di verificare che sì, ha scritto di web con amene banalità (per dire, scrive “Facebook”, tra virgolette) -e dal suo sito apprendiamo, oltre a foto imbarazzanti, che collabora a molte riviste e a Pixel di Rai3. Videogiochi, niente. Beh, allora chiediamo a lui!

Così il servizio va avanti stigmatizzando l’uso di armi leggere nei videogiochi, “che poi leggere non sono” (ha ragione: non pesano) perché eh, poi i ragazzi si abituano e non distinguono più, signora mia, quanta violenza c’è in giro. Perché notoriamente solo i ragazzini acquistano videogiochi -quando l’età media del videogiocatore italiano è ventotto anni. Si passa quindi a fare notare che “nei giochi” (ma quali?) ci sono armi di tutti i tipi: “c’è addirittura un sito che classifica le armi più straordinarie! La più gradita è un fucile d’assalto russo, l’AK74U“. Infatti qua fuori tutti abbiamo tutti fucili d’assalto, noi che giochiamo ai videogiochi.

Ma “chi protegge i minori dall’esposizione galattica a queste tonnellate di armi leggere (sic)?” E qui fa il tizio fa giustamente riferimento al sistema PEGI, ma fa anche notare come in effetti non si sia mai visto un negoziante che di fronte a un quattordicenne che si compra un gioco 17+ gli fa “no, non puoi”.

Ma che c’entra però tutto il resto? Chi l’ha detto che le armi nei videogiochi debbano portare all’acquisto di armi vere? Cioè, a parte gente che già stava fuori di melone prima, è mai successo? Anzi, semmai se ho voglia di menare il primo che incontro perché ho litigato col capufficio o con la fidanzata non è conveniente che me la prenda con un mob invece che con un passante? Che poi, se proprio vogliamo essere rigorosi, perché prendersela con chi progetta videogiochi invece che con chi vende armi? Beh, almeno a questo Riley Freeman ha una risposta di indubbio valore stringente.

E insomma, ero ancora incazzato per ‘sto fatto, che da quando ero pischello, da quando avevo la metà degli anni che ho sento fare questo discorso della violenza nei videogiochi, e tutte le volte sempre con i soliti psicologi prezzolati, la società del tutto e subito, e poi i gggiòvani che non mi distinguono più tra realtà e fantasia. Ed era il secolo scorso, e mi dicevo, passerà, col tempo passerà. Poi finisco sul blog di Bordone, con questo articolo e una bellissima immagine e mi risollevo molto. Ma molto. Dice tra l’altro così

«Sì,» mi dicevano, «ma i videogiochi non sono capaci di commuovere, di emozionare nel profondo, di lasciare un segno nella vita delle persone». E la cosa ancora oggi continua, con una società che spende per i videogiochi più di quanto non spenda per il cinema, intere generazioni che quotidianamente fanno riferimento a quel mondo come parte della loro cultura, e una genia di intellettuali che non li frequenta, li guarda come una sciocchezza salvo eccezioni, come facevano nei primi anni del secolo altri prima di loro nei confronti del cinema. Come facevano i loro nonni, quando i loro genitori cercavano di cambiare la società urlando i ritornelli delle canzoni.

Best T-shirt ever?

E poi, ripeto, continua qui. Dunque è con questo spirito rinnovato che, poco dopo, sul sito dell’ANSA, quindi la maggiore agenzia di stampa italiana, mica pizza e fichi, compare un boxino verde intitolato: DISAGIO GIOVANILE -ASSASSINI E SUICIDI TRA I RAGAZZI, così vedete che la mia non è una fisima. Con la onnipresente e vacua categoria di ‘disagio giovanile’ si dà la stura all’immancabile intervista allo psicoterapeuta che sforna frasi profonde come “C’è troppa rabbia tra i ragazzi” e “I bambini si sentono in credito e si comportano come se tutto fosse loro dovuto (si deve immaginare che invece lui a 10 anni fosse già fuori di casa)” e poi un altro articolo intitolato sobriamente VIDEOGIOCHI: QUANDO UN MITO DIVENTA UN’OSSESSIONE. Siccome ieri un pischello s’è sparato perché, pare, il babbo non lo faceva giocare alla Play, allora sono giustificate frasi come

a sedurre come Sirene bambini e adolescenti ci sono Nintendo, XBox, Wii e similari […].

Tanto più che -orrore!

in loro compagnia – rivela un’indagine commissionata da Nextplora da Microsoft – i giovani maschi tra i 16 e i 24 anni trascorrono in media un’ora e 18 minuti al giorno

78 minuti al giorno, devo commentare? Poi:

Passioni e degenerazioni, quelle legate a videogiochi e affini, che attraversano il mondo: in Cile la scorsa primavera un ragazzo ha pugnalato a morte il fratello maggiore, di 18 anni, durante una vivace discussione per decidere chi avrebbe usato la playstation e a Mosca a settembre un giovane rapinatore si e’ lasciato stregare dalla playstation con cui giocava un ragazzino dimenticandosi che stava facendo il ”palo” a una rapina in casa. Ce n’è abbastanza per correre ai ripari. Anche ”ospedalizzando” le tecno-vittime. In Valle d’Aosta a marzo e’ stata inaugurata una clinica, la prima del suo genere in Italia, specializzata nella cura di fragilita’ adolescenziali che si trasformano in subdole dipendenze da videogiochi o da Internet e in pericolose patologie psichiatriche.

Un’emergenza planetaria! Addirittura 2 vittime, “c’è da correre ai ripari”! Ma siccome continuare a perculare degli articoli così confezionati non mi fa onore, cercherò di evidenziare un aspetto più serio: e cioè, che nonostante anni di alfabetizzazione digitale, videogiochi compresi, buona parte (non tutta, e comunque sempre meno) dell’informazione mainstream è tragicamente indietro sul piano di una corretta informazione in tal senso.

E sono anche scritto in Comic Sans

Intendo dire che essa si fa agente attivo della tenuta in stato di minorità dell’opinione pubblica: su certi temi il dibattito e la morale comune si sposterebbero piano piano in avanti, mentre per certi versi -ed è sicuramente il caso dei videogiochi e del web- sono tenuti ancorati all’opinione di psicoterapeuti settantenni, di sociologi improvvisati, di opinionisti da Maurizio Costanzo Show o da TV Sorrisi e Canzoni che non hanno MAI giocato a un videogioco in vita loro. Facciamo un parallelo: se io di economia non so un cazzo, nessuno viene da me a chiedermi un parere sui bond tedeschi. Perché tutto questo non vale per gli ambiti contrassegnati -a torto- come “giovanili” (web, videogiochi, fumetti, animazione)?

Soprattutto perché siamo già in un’era dove l’esperienza di gioco e la complessità delle trame sono già ampiamente a livello cinematografico. Parliamo di titoli come Metal Gear Solid 4, Dead Space, Assassin’s creed 2, Dead Rising 2, Heavy Rain: dico, Heavy Rain, imbecilli.

Per farvi capire che non esagero, articolo di Vittorino Andreoli sul Corriere:

Gli adolescenti di oggi sono degli empiristi e quindi agiscono senza progettare l’azione e senza nemmeno chiedersi quali ne siano il senso e le conseguenze;

La digital generation non ha radici;

In forma ancora più esplicita si tratta d’una generazione incapace di legami sentimentali;

Usando un videogioco del tipo «killer» , si può giungere a uccidere 900 sagome umane nei 3 minuti della sua durata e il punteggio record si lega proprio a quanti morti si sono fatti (esticaz….)

Altri succosi (si fa per dire) estratti dall’articolo in questione, con un po’ di commento, sono sul blog di Fabio Chiusi, da dove ho tratto le citazioni. Perché, non solo da tizi scrausi, ma sui principali quotidiani e in TV così spesso tutto quel che ha a che fare con internet o i videogiochi deve essere tacciato di causare violenza, senza che vi siano controprove nei fatti se non questo o quel caso di cronaca? Perché bisogna assistere a dibattiti assurdi e deliranti come questo (guardatelo, ché merita)? Anche perché non è una questione di età: internet, il web, la blogosfera, i videogiochi non diventano automaticamente qualcosa di esotico e sconosciuto per chi ha più di 50 anni, anzi: recenti studi dimostrano come semmai aiutino a “tenere dentro” quella fascia di popolazione rispetto al rischio dell’analfabetismo di ritorno.

Però no, l’internets è cattivo, i videogiochi fanno diventare violenti, i cartoni giapponesi e i fumetti di supereroi pure. Dovrei essere contento di avere l’età che ho per tutte le cose che posso ancora scegliere di fare, ma mi sento piuttosto spinto ad esserlo per poter godere del fatto che, se tutto va bene, potrò ballare sulle tombe di tutti i ridicoli pagliacci senza vergogna che ancora predicano queste cose indottrinando il popolino e vedere il giorno in cui quelle idee avranno lo stesso seguito che i predicatori di oscurantismo contro le nuove tecnologie finiscono per avere.

E sarà l’alba di un giorno luminoso, con nuove leggi e nuovi codici.

 

Osanna al Konami code!

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“Da grande vollio fare il giornalista!”

5 febbraio 2011

Una cosa senz’altro apprezzabile della rete (finché non la “spengono”) è la sua funzione di deposito collettivo di ciò che vi viene depositato. La possibilità così offertaci di rileggere alcuni articoli a distanza di qualche anno consente in tal modo di avere uno sguardo diverso sull’attualità e le sue polemiche.

Questo era “Il Giornale“, 24 marzo 2007 (sì, ve l’avevamo già scritto):

(…) Vi sono reati etici peggiori di quelli sanzionati dal codice penale. Se (un uomo delle istituzioni va a prostitute, e si concede un’escursione notturna a “Zoccoland”) non è per niente affar suo, ma di tutti. Un uomo pubblico che si rende ricattabile espone lo Stato a gravi rischi, al cui confronto l’estorsione diventa una bazzecola. (…)
Ma poi non lo sa, (qui ci si rivolge direttamente all’uomo delle istituzioni), che la Convenzione sulla soppressione del traffico di persone, ratificata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949, recita: «La prostituzione e il male che l’accompagna, cioè la tratta degli esseri umani, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia e della società»? Non lo sa che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea all’articolo 3 sancisce il divieto «di fare del corpo umano una fonte di lucro»? (…)
In ogni caso non si capisce perché debba godere d’un trattamento di favore rispetto agli altri cittadini, moralmente riprovevoli, che si mettono nelle sue stesse condizioni. (…) Sono i clienti ed i guardoni i primi responsabili dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù di migliaia di esseri umani. (…)
Ma resta intatto il nostro diritto di cittadini a poter disporre di responsabili della res publica che non siano nemmeno lontanamente sfiorati dal sospetto di una qualche contiguità col mondo della prostituzione. Perché andare a puttane non è affatto una cosa normale. Anzi, è la scorciatoia per mandare a puttane prima i governi e poi le nazioni.

Via “Nonleggerequestoblog

Questa invece è “La Repubblica“, da un articolo di Giuseppe d’Avanzo (proprio lui!) del 19 giugno 2006.

“Il giornalismo italiano – tutto il giornalismo italiano, nessuno escluso – diffonde a piene mani intercettazioni non per fare informazione, per rispettare quel “patto etico” con il lettore che gli impone di rendere (anche con frasi rubate) comprensibile la realtà, di spiegare per quanto è possibile che cosa è accaduto e perché. Quelle frasi rubate sono pubblicate per mero scandalismo. Per voyeurismo. Il giornalismo c’entra come il cavolo a merenda”.

Via “Cerazade

Lasciamo alla vostra intelligenza ogni altra ulteriore considerazione. Potrei azzardare una spiegazione, ma, sul serio, no.

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Intanto (rassegna stampa estera).

1 febbraio 2011

Ha ragione da vendere Francesco Costa sul suo blog quando scrive, in un post intitolato significativamente “Il mondo è grande”:

Oggi a un certo punto mi sono incazzato. È successo quando ho girato sui social network un aggiornamento sulle rivolte in Egitto e il primo commento che ho ricevuto – su Facebook – faceva riferimento a Berlusconi, tipo che anche noi abbiamo il nostro Mubarak.

Non ce l’ho con la persona che ha scritto quel commento e non mi interessa nemmeno fare la solita tirata sul fatto che no, Berlusconi non è Mubarak. Il motivo per cui mi sono incazzato è un altro: che in otto mesi di lavoro al Post ho letto i commenti a migliaia di articoli e ho scoperto come praticamente quasi qualsiasi articolo, di qualsiasi fatto parli, suscita sempre almeno un commento che mette in relazione quel fatto a Berlusconi. Parli della crisi politica in Giappone e qualcuno sente il bisogno di mettere la cosa in relazione a Berlusconi (“almeno lì si dimettono!”). Parli dello Stato dell’Unione e qualcuno sente il bisogno di mettere la cosa in relazione a Berlusconi (“almeno loro hanno Obama!”).

prosegue qui

E allora ci mettiamo anche noi di buzzo buono e invece che stare inchiodati a quest’uomo vi diciamo un po’ delle cose del mondo che troviamo importanti.

Quel che sta succedendo in Egitto è noto a tutti. Articoli interessanti, come sempre in questi casi si trovano sul sito di PeaceReporter. Uno spazio molto pheego e che non conoscevo è sul sito della Stampa, si chiama “Voci Globali” ed è una specie di blog con traduzioni da siti in giro per il mondo, con video e tweet incorporati: lo trovate qui. S’è detto tweet perché Twitter e i social network hanno giocato un ruolo importante nel far sì che le comunicazioni fra un paese e l’altro, tra una manifestazione e l’altra arrivino veloci. Vodafone nei giorni scorsi ha acconsentito a “spegnere” Twitter in Egitto con queste motivazioni, facendo così riflettere sull’importanza di garantire l’accesso alla rete sempre, soprattutto nelle situazioni in cui ne va, letteralmente, della vita delle persone.

In questi giorni il Post sta peraltro meritoriamente seguendo l’evolversi della situazione egiziana con un liveblogging sul proprio sito. Per chi invece mastichi un po’ d’inglese oltre all’italiano, per tenersi aggiornati e soprattutto capire quel che sta succedendo e le sue premesse storico-politiche il sito della rivista Internazionale riunisce gli articoli più interessanti su giornali e riviste. A me ha fatto anche piacere scoprire che gli artisti egiziani non stanno a guardare.

Poi però, siccome il mondo non finisce nemmeno con l’Egitto, come aggiornamenti utili proponiamo:

un articolo (in inglese) dove si spiega che fine stiano facendo fare alla rivoluzione iraniana e il problema di fondo che le rivolte hanno con la rete.

un’intervista del manifesto sulla situazione dei profughi eritrei ed etiopici rapiti dai beduini nel deserto al confine col Sinai e ignorati dalla diplomazia internazionale.

un ricordo di  David Kato Kisule, ugandese ed esponente del movimento Lgbt, perseguitato e ucciso per questo motivo.

E fa sempre bene ascoltarsi la rassegna stampa di Radio3 mondo.

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Illusionismi.

11 gennaio 2011

A me comprare un quotidiano, in generale, piace. Mi sono chiesto per molto tempo come facessero quelli che, nell‘emeroteca di Sala Borsa, si mettono a leggere molti giornali anche di orientamenti politici diversissimi, prima di darmi una risposta: il segreto è che sono (prevalentemente) anziani e hanno più tempo da spendere per formarsi un’opinione sui fatti che accadono: è lo stesso motivo per cui io, per esempio, cerco sempre di ascoltare “Stampa e Regime“, la rassegna stampa mattutina di Radio Radicale (curata da Massimo Bordin).

Io che sono giovine e quel tempo ancora non l’ho -e poi lo ammetto, l’idea di maneggiare Libero o La Padania mi fa anche un certo ribrezzo- compro un solo giornale, che è il manifesto. Se però trovo in giro qualche cos’altro, non mi dispiace di certo: qualche pagina di Repubblica o dell’Unità si legge sempre volentieri. Negli ultimi tempi, invece, non riesco ad avere lo stesso atteggiamento nei confronti del Corriere della Sera. Lo dico perché sono giunto alla conclusione che dover leggere gli editoriali di Panebianco, Ostellino o Galli della Loggia non sia ancora da preferirsi a una ferita da arma da fuoco ad un piede, ma siamo quasi lì.

Tutto questo per dire che, non leggendo il Corriere, mi ero perso questo lungo articolo di Mario-Monti-contro-tutti e che ho recuperato solo grazie a questo blog che, simpaticamente, ne offre anche una traduzione spiccia e comprensibile.

Noi invece abbiamo fatto di più: siamo miracolosamente riusciti ad entrare in possesso della prima versione della parte incriminata e che riportiamo dopo la versione emendata e poi uscita sul quotidiano di via Solferino. Questa recita così (grassetti nostri):

Esistono in Italia due illusionismi. Essi sono riconducibili, sia detto senza alcuna ironia, alla dottrina di Karl Marx e alla personalità di Silvio Berlusconi.
Marx ha alimentato a lungo un sogno sul futuro: la classe operaia un giorno avrebbe vinto il capitalismo e avrebbe governato come classe egemone in un sistema più equo. Fallito quel sogno, in quasi tutti i Paesi le rappresentanze della classe operaia e delle nuove fasce deboli hanno modificato le loro azioni e rivendicazioni, ispirandole all’esigenza di tutelare al meglio e pragmaticamente tali interessi nel contesto di economie di mercato che devono affermarsi nella competizione internazionale. Solo così possono creare lo spazio per dosi maggiori di socialità (adeguati servizi sociali, sistema fiscale redistributivo, ecc.) che, per essere effettivamente conquistate, richiederanno appunto quelle azioni e rivendicazioni.
In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’ opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività.
Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.

Questo per la parte che ci interessa. La prima stesura recitava invece così:

Che roba contessa, all’industria di Aldo

han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti;

volevano avere i salari aumentati,

gridavano, pensi!, di esser sfruttati.

E quando è arrivata la polizia

quei pazzi straccioni han gridato più forte,

di sangue han sporcato il cortile e le porte,

chissà quanto tempo ci vorrà per pulire…”.

Come continuava lo ricordate tutti, spero.

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Kierkegaard sui politici e i docenti

8 agosto 2010

Prima di andare a dormire, un paio di estratti dal “Diario” di Søren Aabye Kierkegaard (quel che leggevo a 17 anni, discorso già fatto):

i nostri politicanti sono come i pronomi reciproci greci che mancano del nominativo, del singolare, e di tutti i casi del soggetto: non si possono pensare che al plurale o nei casi obliqui.

(frammento 471 della numerazione Fabro dell’editio maior per Morcelliana del 1962-3, poi variamente aumentata)

Siccome poi molti di voi si muovono in ambito universitario, è interessante leggere che pensava dei docenti a lui contemporanei:

L’uomo comune io l’amo, i docenti mi fanno ribrezzo.

E’ stata proprio la categoria dei “docenti” che ha demoralizzato l’umanità. Se si lasciasse il mondo com’è in realtà, quei pochi che veramente sono al servizio dell’idea o che stanno ancora più in alto al servizio di Dio – e poi il popolo: tutto andrebbe per il meglio.

Ma c’è quest’infamia che tra gli eminenti e il popolo si intrufolano queste canaglie, questa masnada di briganti, che sotto l’apparenza di servie anch’essi all’idea, tradiscono i suoi veri servitori e confondono la testa al popolo, e tutto per spillare miserabili vantaggi terrestri.

Se non ci fosse l’inferno, bisognerebbe crearne uno apposta per i docenti, il cui crimine è precisamente anche di tal fatta che non si può facilmente punire in questo mondo.

(frammento 3059)

Amen (chissà che scriverebbe se avesse un blog al giorno d’oggi, il Kierkegaard -citazione da qui). Vi risparmio la violenza verbale che esercitanei confronti dei giornalisti in svariati luoghi; se v’interessa, l’acquisto è sempre consigliato – l’edizione ridotta del Diario nella BUR costa 9,50 euri. No?

Anche qui, bonus audiovideo (di carattere scemo, a ‘sto giro):

  • S. A. Kierkegaard, “Diario”, a cura di C. Fabro, Milano, Rizzoli 2000