Archive for the ‘Narrativa e poesia’ Category

h1

Segnalazioni sparse.

11 aprile 2011

Almeno siamo coerenti e non cerchiamo un titolo figo che tenga insieme della cose che nei fatti insieme non ci stanno.

1) Stasera alle 21, al Vag61 si presenta il volume sulla “Volante Rossa” alla presenza dell’autore. Partecipazione caldamente consigliata.

2) Sul blawg dei Wu Ming, traduzione dell’intervento di Wu Ming 1 alla University of North Carolina sul tema “A cosa assomiglia una rivoluzione?“. Per l’occasione vengono introdotti Proust, Majakovskij, Deleuze, la stampa socialista italiana nel 1917 e altro ancora. Lungo ma necessario. Riportiamo:

Un movimento rivoluzionario non si espande per contaminazione, ma per risonanza. Qualcosa che si costituisce qui risuona con l’onda d’urto di qualcosa che si costituisce laggiù. Il corpo che risuona lo fa nel modo che gli è proprio. Un’insurrezione non è come l’espansione di una pestilenza o di un incendio nel bosco – un processo lineare che si estenderebbe col contatto ravvicinato a partire da una scintilla iniziale. E’ piuttosto qualcosa che prende corpo come una musica, le cui sedi, anche quando disperse nel tempo e nello spazio, riescono a imporre il ritmo della propria vibrazione. A prendere sempre più spessore. Fino al punto in cui qualunque ritorno alla normalità non possa più essere desiderabile, e nemmeno attuabile.

3) Mentre siamo “distratti” dalla guerra in Libia (e anzi quasi ci dimentichiamo anche di quella), continuano i massacri dell’aviazione israeliana a Gaza.

4) Non so se è un problema solo mio, ma a me la cover di “Where is my mind?” dei Pixies che si trova nella colonna sonora di Sucker Punch piace. Ora, ascoltatevela e ditemi se devo farmi curare.

5) Ora, l’altro giorno -dramma planetario- Sasha Grey si è ritirata dalle scene di QUEL tipo di film. In segno di lutto molti hanno portato una fascia nera alla mano, ma non è questo il punto. Il punto è che a conclusione della nota su Facebook con cui ha comunicato il suo ritiro ha firmato “Lotta Continua”. In italiano.

Se Sasha Grey si unisce alla sinistra rivoluzionaria fidatevi che per il movimento è la volta buona.

6) L’onorevole Domenico Scilipoti, del gruppo parlamentare dei Responsabili promuove, alla Camera, un incontro con Pippo Franco e altri oratori su omeopatia, lettura dell’aura e scie chimiche.

7) Cosa cerca chi parte dall’altra sponda del Mediterraneo, quali sogni ha chi parte a 20 anni per un altro paese? Ce lo spiega benissimo Gabriele del Grande, grazie a una canzone.

8) Un modellino a tre piani di New York ricreata in maniera assai strana da Alan Wolfson, via il Post.

9) Gente che vuole camminare “Da Milano a Napoli ricuciamo l’Italia con i nostri passi. In un viaggio da fare insieme attraverso l’Italia, a piedi.” e parte il 20 maggio, tutte le informazioni del caso su Carmilla.

10) Se sapete l’inglese bene e volete tenervi aggiornati con della buona informazione su quel che continua a capitare in Algeria, Bahrain, Gibuti, Costa d’Avorio (vista la situazione), Arabia Saudita, Swaziland, Siria, Tunisia, Emirati arabi uniti e Yemen ecco un post contenente tutti i link che possiate desiderare.

h1

Cinque storie bellissime

24 febbraio 2011

Catherine Pozzi, poetessa (1882-1934) "L'orrore della mia vita è la solitudine. Giacché io sono un'inferma. Non posso raggiungere gli altri, mai. Di qui, queste intossicazioni per un sentimento, e questi eccessi di materia spirituale."

Chi di voi conosce L’Enciclopedia delle donne? Il nome parla per sé: essa è un progetto collettivo di donne e uomini che

da sempre si propone di radunare, illuminare, costruire e divulgare. Che cosa?

Intanto la conoscenza, nomi e cognomi. Ogni nome e cognome fa una storia, e ogni storia singola va in un paesaggio pieno di storie, e tutto diventa la Storia. Ma senza la storia delle donne – di tutte le donne – non si fa una bella Storia: si fanno degli schemi, delle approssimazioni, dei riassunti che non somigliano più a niente. E che fan danno.

L’altra cosa che si divulga da sé facendo un’Enciclopedia delle donne è l’idea della libertà: la conoscenza delle donne in carne e ossa del passato e del presente, al pari dell’esperienza, sgretola le grate di quei pochi, limitati modelli a cui la loro vita (destino, vocazione, intelligenza, desiderio) viene ancora ricondotta.

"L'eccezione conferma la regola e al tempo stesso la invalida... Sono ossessionata dall'eccezione."

Ma questo non vuole essere un post sull’Enciclopedia: vuole essere uno spunto per prendere, da lì, cinque storie cinque: 5 biografie femminili tutte diverse (ma forse non così tanto) e distanti tra loro (ma forse non così tanto). Sono le storie di partigiane, resistenti, scrittrici, artiste, poetesse, aticonformiste:

Joyce Salvadori Lussu

Marcela ed Elisa

Claude Cahun (nata Lucy Renée Mathilde Schwob)

Ondina Peteani

Catherine Pozzi

Leggetele.

 

[Ulteriore nota: le curatrici del progetto dell’Enciclopedia sono Rossana Di Fazio e Margherita Marcheselli: ma gli autori e le autrici sono veramente tanti. I contenuti dell’Enciclopedia sono disponibili sotto una licenza Creative Commons 2.5 e a tutto questo si accompagna pure un blog, Lo specchio delle dame.]

Claude Cahun, "I.O.U.", 1929-30

h1

Calpestando l’oblio

4 febbraio 2011

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Calpestare l’oblio. Progetto culturale

Nato come opera poetica di impegno civile nel novembre 2009, capace di attirare l’attenzione non solo degli addetti ai lavori ma dei maggiori media nazionali, dall’8 gennaio 2010 “Calpestare l’oblio” si è auto-organizzato in un vasto movimento spontaneo di rivolta generale contro quello che i promotori hanno definito il “trentennio dell’interruzione culturale” e della “rimozione della coscienza critica”. Il progetto, coordinato da Davide Nota (rivista La Gru), Fabio Orecchini (rivista Argo e Beba Do Samba) e Valerio Cuccaroni (rivista Argo), ha prodotto finora 2 e-book, 2 edizioni cartacee, decine di incontri e 2 assemblee nazionali, 1 piattaforma programmatica, […] assieme all’elenco di tutti coloro – poeti, giornalisti, associazioni, sindacati, partiti, istituzioni – che hanno aderito al progetto finora.

Insomma, alla base c’è un’analisi: che il problema, il caso-Italia, sia anche o soprattutto un problema culturale. L’idea è rimettere in moto le energie critiche nei campi della cultura a partire da chi opera nel campo della poesia. Così dall’incontro/assemblea a Roma dell’8 gennaio scorso è nata una piattaforma programmatica:

unire le lotte di studenti, ricercatori, precari della scuola, operatori del mondo dello spettacolo, giornalisti, metalmeccanici; promuovere un’arte “contaminata”, ovvero un’arte che non solo racconti il presente, ma cammini nel presente e lotti per un futuro migliore; istituire un osservatorio sulla questione culturale italiana […]

E molto altro. Il resto lo trovate a questo indirizzo sul sito della rivista Argo. Vi troverete anche i link ai due e-book di poesie, la lista completa dei soggetti che compongono il progetto, la bozza di Osservatorio.Quel che vogliamo segnalare è che il prossimo incontro della rete è a

Bologna, Venerdì 11 febbraio 2011 dalle ore 18 alle 24, allo spazio occupato (…) Bartleby

Presente anche il nostro Massimiliano Chiamenti (sì, lui). Aggiornamenti a breve sul sito del Bartleby.

h1

CORTEI.

15 dicembre 2010

5. Piccolo dizionario di parole fraintese (continuazione)

CORTEI. Per la gente in Italia o in Francia è facile. Quando i genitori li obbligano ad andare in chiesa, loro si vendicano iscrivendosi a un partito (comunista, maoista, trockista, ecc.). Il padre di Sabina, invece l’aveva mandata prima in chiesa e poi, per paura, l’aveva obbligata lui stesso a entrare nella Gioventù comunista.

Quando andava alla parata del primo maggio, Sabina non riusciva a tenere il passo, e la ragazza che le veniva dietro la insultava e le pestava i talloni. E quando si doveva cantare, non conosceva mai il testo delle canzoni e si limitava ad aprire e chiudere la bocca. Le sue compagne però se ne accorgevano e le facevano rapporto. Dalla giovinezza Sabina odiava ogni tipo di corteo.

Franz aveva studiato a Parigi e poiché era straordianariamente dotato, già a vent’anni aveva davanti a sé una carriera scientifica assicurata. Già allora sapeva che avrebbe passato la vita tra le pareti di uno studiolo universitario, delle biblioteche pubbliche e di due o tre aule; questa idea gli dava una sensazione di soffocamento. Voleva uscire dalla propria vita come da un appartamento si esce in strada.

Per questo, quando viveva a Parigi, amava partecipare alle manifestazioni. Era bello andare a celebrare qualcosa, a rivendicare qualcosa, a protestare contro qualcosa, non essere soli, stare all’aperto e insieme agli altri. I cortei che affluivano dal Boulevard Saint-Germain o da Place de la République lo affascinavano. La folla che marciava scandendo slogan era per lui l’immagine dell’Europa e della sua storia. L’Europa era la Grande Marcia. Una marcia di rivoluzione in rivoluzione, di battaglia in battaglia, sempre avanti.

Potrei metterla in un altro modo: a Franz la vita tra i libri pareva irreale. Desiderava fortemente la vita reale, il contatto con l’altra gente ce gli camminava a fianco, le loro grida. Non si rendeva conto che ciò che lui considerava irreale (il suo lavoro nella solitudine di uno studio o delle biblioteche) era la sua vita reale, mentre i cortei che rappresentavano per lui la realtà non erano che teatro, una danza, una festa, o per dirla inun altro modo: un sogno.

Al tempo dei suoi studi, Sabina abitava in una Casa dello studente. Il primo maggio tutti gli studenti dovevano trovarsi al mattino presto nel punto di raccolta di corteo. Affinché non mancasse nessuno, i funzionari studenteschi controllavano che l’edificio fosse vuoto. Lei si nascondeva nei gabinetti e tornava nella sua camera soltanto quando tutti erano già andati via da un pezzo. C’era un silenzio che non aveva mai conosciuto prima. Solo da molto lontano giungeva la musica del corteo. Era come essere nascosta dentro una conchiglia e sentir giungere da molto lontano il mare di un mondo nemico.

Un paio d’anni dopo aver lasciato la Boemia, si trovò del tutto casualmente a Parigi proprio nell’anniversario dell’invasione russa. Si teneva una manifestazione di protesta e lei non poté fare a meno di parteciparvi. I giovani francesi sollevavano il pugno urlando slogan contro l’imperialismo sovietico. Quegli slogano le piacevano, ma all’improvviso scoprì con stupore di non essere capace di gridare insieme agli altri. Non resistette nel corteo che pochi minuti.

Confidò quell’esperienza agli amici francesi. Ne furono stupefatti: <Ma allora tu non vuoi lottare contro l’occupazione del tuo paese?>. Lei voleva dir loro che dietro il comunismo, dietro il fascismo, dietro tutte le occupazioni e tutte le invasioni si nasconde un male ancora più fondamentale e universale, e che l’immagine di quel male era per lei un corteo di gente che marcia levando il braccio e gridando all’unisono le stesse sillabe. Ma sapeva che non sarebbe riuscita a spiegarglielo. Imbarazzata, spostò la conversazione su un un altro argomento.

Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’Essere

h1

Radici che emergono

18 novembre 2010

Ricordate Radici di Mangrovia, l’incontro a Modena sulla letteratura della migrazione organizzato dalla rivista Mumble:? Quella storia, per quanto possibile, prosegue: il 7 novembre c’è stato un incontro, in una piovosa domenica pomeriggio a San Matteo della Decima (BO), al locale circolo ARCI gestito da giovani volenterosi e chiamato apotropaicamente Eternit, che ha riguardato l’organizzazione dell’evento, la letteratura della migrazione, la letteratura in genere, la società italiana, i migranti e i frizzi e lazzi dei due relatori. La locandina del festival era questa, per chi volesse essere informato su chi sono, cosa fanno e quali siano le prossime iniziative ecco il loro Myspace.

Il direttore di Mumble: e valente vicedirettore di Idioteca è stato intervistato anche da Nanni Editore di Roma, che ha pubblicato sul suo sito il resoconto.

Qui l’intervista, godetevela.

Ne approfittiamo per segnalare anche il recentissimo (ieri) passaggio di Shirin Ramzanali Fazel a Bologna per presentare il suo ultimo libro, “Nuvole sull’equatore”, in un bell’incontro alla libreria Irnerio -se ne scrive, tra l’altro, qui. Aspettiamo, chissà, qualche nuova intorno all’organizzazione di un possibile evento futuro sulla letteratura migrante… Stay tuned, vi faremo sapere!

h1

Franz K., “Gibs auf”

6 ottobre 2010

5000 visite, s’è detto. Replichiamo dunque la formula delle 2500 visite con un esilarante resoconto della mattinata del nostro corrispondente Franz K.

Es war früh am Morgen, die Straßen rein und leer, ich ging zum Bahnhof. Als ich eine Turmuhr mit meiner Uhr verglich, sah ich, dass es schon viel später war, als ich geglaubt hatte, ich musste mich sehr beeilen, der Schrecken über diese Entdeckung ließ mich im Weg unsicher werden, ich kannte mich  in dieser Stadt noch nicht sehr gut aus, glücklicherweise war ein Schutzmann in der Nähe, ich lief zu ihm und fragte ihn atemlos nach dem Weg, Er lächelte und sagte: “ Von mir willst du den Weg erfahren? ”  ” Ja ”, sagte ich, “ da ich ihn selbst nicht finden kann. ” “ Gib’s auf, gibs auf ”, sagte er und wandte sich mit einem großen Schwunge ab, so wie Leute, die mit ihrem Lachen allein sein wollen.

Era mattino presto, le strade pulite e vuote, andavo alla stazione. Quando confrontai l’orologio della torre con il mio orologio, vidi che era molto più tardi di quanto avessi pensato, dovevo darmi una bella mossa, lo sgomento per questa scoperta mi rese insicuro sulla strada, fortunatamente c’era un poliziotto nelle vicinanze, camminai verso di lui e senza fiato gli chiesi la strada. Egli sorrise e disse: “Da me vorresti imparare la strada?”, “Sì”, dissi, “perché da solo non la so trovare.” “Arrenditi, arrenditi”, disse lui e si allontanò con grande slancio, come fanno coloro che vogliono essere lasciati soli col proprio riso.

h1

“Radici di mangrovia”: incontro a Modena sulla letteratura della migrazione

11 settembre 2010

Giovedì 16 settembre

ore 18.30

Festa dell’Unità di Modena

Locandina dell'incontro

Organizza il tutto la rivista Mumble: (con dentro un pezzettino di Idioteca)

Veniteci perché sarà bello, stimolante, pieno di temi e di persone interessanti. Citiamo dal comunicato-stampa:

La letteratura migrante in lingua italiana (o letteratura italiana della migrazione) comprende gli scritti prodotti in lingua italiana da scrittori migranti non di lingua madre italiana”. Questa è la definizione più didascalica per tentare di definire un fenomeno socio-culturale che non è né una corrente letteraria né il manifesto di uno stile. In Italia la letteratura della migrazione ha preso piede negli ultimi trent’anni, per motivi spesso riconducibili alla migrazione delle genti oppure a condizioni post-coloniali.

Gli scrittori presenti il 16 settembre a Modena rappresentano uno spaccato di questa realtà: con loro parleremo della letteratura oggi, delle condizioni della cultura in Italia, dell’integrazione come percorso di uguaglianza e libertà, dell’arte come forma di circolazione delle diversità.

Gli autori presenti saranno: Erminia dell’Oro, Julio Monteiro Martins, Shirin Ramzanali Fazel, Roberta Sangiorgi. Ancora dal comunicato-stampa:

Erminia Dell’Oro è nata ad Asmara – Eritrea – dove suo nonno paterno si stabilì nel 1896. Si è trasferita in Italia – a Milano – ma ha sempre mantenuto stretti contatti con il popolo eritreo, scrivendo numerosi reportage, anche come inviata durante la guerra Eritrea-Etiopia. Ha scritto libri per adulti, ragazzi e bambini, alcuni legati alle tematiche del colonialismo italiano, della Shoà, delle guerre e delle recenti e drammatiche immigrazioni. Ha lavorato per quindici anni nella storica Libreria Einaudi di Milano, ed è stata lettrice per vari editori.

Julio Monteiro Martins è uno scrittore, avvocato e docente universitario brasiliano. Autore bilingue, ha scritto i propri lavori letterari in portoghese tra il 1975 e il 1994, mentre dal 1998 in poi in italiano. Vive tra Lucca e Rio de Janeiro. Dirige e insegna nel Laboratorio di Narrativa, che è parte del master della Scuola Sagarana, a Pistoia, e dirige la rivista Sagarana on-line.

Shirin Ramzanali Fazel è una delle prime scrittrici del movimento conosciuto come letteratura italiana della migrazione. I suoi scritti sono studiati in Italia e all’estero Mamma somala, papà pakistano. Il padre nativo di Zanzibar, andò per la prima volta in Somalia quando l’Italia aveva perso formalmente le colonie e gli inglesi presero possesso dei territori. Il suo più grande successo editoriale è Lontano da Mogadiscio.

Roberta Sangiorgi ha fondato e tuttora dirige l’associazione interculturale Eks&Tra, tesa a promuovere l’integrazione attraverso la cultura artistica e letteraria. Autrice e curatrice di numerose antologie sulla letteratura migrante, da 15 anni coordina il primo premio – appunto il premio “Eks&Tra” – rivolto agli scrittori migranti.

Con lei ci saranno i giovani autori Raol Lolli, Danny Labriola, Ouissal Meiri, Moira Pulino.

Servono forse altre ragioni per venire?

h1

“Il ponte”, di Vitaliano Trevisan

7 settembre 2010

Tutto quel parlare di libertà e di diritti, quell’incessante cicaleccio che dura ancora oggi a proposito del Sessantotto e della libertà che avrebbe portato, e che continuerebbe a irradiare, che a guardar bene, si è tradotta in libertà di comprare e consumare, libertà e diritto entrambi apparenti s’intende, perché in realtà non c’è libertà né diritto, ma bensì il dovere di comprare e di consumare, e si compra e si consuma tutto, beni materiali e beni immateriali, valori reali e valori assolutamente irreali, mentre la cosa straordinaria non è tanto che si venda qualcosa che non c’è, né che si compri questo qualcosa che non c’è; ciò che davvero mi stupisce è che questo qualcosa che non c’è, pur non essendoci, si consuma e crea un vuoto; e siccome esiste solo in quanto pensiero, ovvero nella testa, esso si consuma nella testa e determina un vuoto nella testa, che, per inciso, è sempre e comunque una testa di mercato, visto che non c’è più nemmeno la possibilità di un pensiero alternativo, e dunque non c’è più pensiero. Se un albero si giudica dai frutti, e non dalle intenzioni, l’albero del Sessantotto lo si potrebbe benissimo usare come legna da ardere.

V.T. da Il ponte, Torino, Einaudi, 2007 (costando 13 euri)

Appena incontro Vitaliano Trevisan gli spacco il muso: un buon destro con rotazione di tallone-bacino-torso-spalle che si sgancia tipo fionda e gli arriva come una transiberiana giusto sull’arco sopraccigliare, o magari – perché no – in pieno naso. Il motivo (ammettendo che debba esserci motivo per una sana sabongia) è assai semplice: non si può condensare tanta verità – tanta dolorosa verità – in sole centocinquantatré pagine. È un gesto irresponsabile, folle, compiuto in totale spregio della pubblica incolumità (se non fossimo in Italia).

Il ponte – opera che segue il magistrale esordio de I quindicimila passi (che col senno di poi si può definire “embrionale”) è – come ricorda nel sottotitolo l’autore – la narrazione, la fissazione, l’elaborazione di un crollo che investe ogni elemento, ogni costruzione del protagonista Thomas. L’incipit è la morte e la chiusa è un’altra morte, anche se più sfumata, liberatoria (in realtà la polisemia ascendente-discendente con la quale Trevisan conclude l’opera è, oltre alla prova di un estro evidente, il segno tangibile di un discreta furbizia tecnica). Racchiusa fra i due “decessi”, si svolge una storia chiaramente banale, monotona (le ripetizioni sono il grande trucco ad effetto di Trevisan, che le utilizza per costernare il lettore, indurlo alla frenesia divoratrice, colpirlo con una sofferente noia che erode gradualmente ogni mattone del ponte), una storia dicevamo, che è analizzata in tutte le sue possibilità, quelle patologiche ed ossessive, quelle concrete. C’è crudeltà nella scientifica serietà con cui l’autore dilania la stabilità cerebrale di Thomas, fino a concedergli la possibilità di trovare l’equilibrio solo nell’annullamento completo del brusio circostante, composto da madri anaffettive e padri irretiti, percezioni di responsabilità tremende, disagi, afasie, ricerche di bandoli introvabili.

Così scorre un libro che farete fatica a definire romanzo, narrativa classica. Il ponte ricorda per certi versi il romanzo civile e per altri il pamphlet, vedrete al suo interno alcuni snodi classici del romanzo di formazione ma sarete spiazzati dall’ambiguità dell’intreccio, fatto di approdi assai nebbiosi, alla Kafka. E poi le contraddizioni, che sono una sfaccettatura delle ripetizioni: Trevisan dà voce alla realtà, che è multiforme e quindi contraddittoria, la verità non è mai una sola, cambiano le condizioni e già vedo il panorama tinto di un altro colore.

Infine la scrittura, personale, vera: lunghe subordinate in controtendenza con la “scuola” in decadenza della narrativa italiana, punteggiatura a tratti sovrabbondante, che rende la lettura sincopata, ansiosa. In una parola Trevisan riesce – più o meno volutamente – a congiungere al massimo significato e significante, senso ed oggetto linguistico, messaggio e strumento di lavoro.

Per la ciclicità che esprime la storia, Il ponte potrebbe essere paragonato – con tutto il dovuto rispetto – a Proust. Anche nel libro di Trevisan infatti è impossibile scappare dalle pagine precedenti, anche qui tutto si ripete ma mai in maniera identica, anche qui la memoria – quella vera – è la comunicazione, il dialogo con il nostro passato e non – quella falsa – che cristallizza gli avvenimenti fino a farli apparire distorti per il vizio artificiale della macchina fotografica.

Un buon pezzo di letteratura italiana, che può piacere o non piacere, ma al quale va tributato un plauso se non altro per la novità fresca di una scrittura complessa e colta, che fissa una “piccola storia ignobile” come ignobile può essere solo la vita realmente vissuta. Un libro da salvare nella marea indistinta del mercato editoriale italiano, che arranca quasi solo producendo “casi letterari” capaci di vincere premi e sparire come meteore, oppure di librucci da boom commerciale a suon di sponsorizzazioni televisive. Con Trevisan si nota un’autenticità di fondo della scrittura, della storia dell’autore, al quale affido la conclusione di queste righe: Siamo gettati nel mondo per ragioni che non ci riguardano e dobbiamo arrangiarci, la verità è questa.

(Mirko Roglia)

h1

Sessant’anni sono passati

27 agosto 2010

“Il polso della vita batte ora non più in una corte o in una piccola classe ma nei grandi organismi collettivi (le fabbriche, i campi sportivi, gli organismi democratici ecc. – fra parentesi anche per questo sono comunista) e si tratta di trovare il linguaggio tendenzialmente acconcio a toccare questi molti lettori  – questo tipico lettore ‘uomo e basta’. Ma ciò deve essere fatto senza rinunziare a nessuno dei valori acquisiti in passato, senza abbassarsi al popolo: ma sollevando il popolo”.

Cesare Pavese – 15 gennaio 1950

Il 27 agosto 1950 C.P. moriva.

  • “Il mestiere di vivere”, ovviamente va letto. Consiglio libresco: Sergio Pautasso, “Cesare Pavese oltre il mito : il mestiere di scrivere come mestiere di vivere”, Genova, Marietti, 2000
h1

Da “V for Vendetta”

25 agosto 2010

Parte 3, “La terra del fa’-come-ti-pare”, capitolo 1, “Vox populi”:

Non basta affidarsi troppo alle maggioranze silenziose, perchè è cosa fragile il silenzio…un rumore forte e va via.

Ma è tanto intimorito il popolo, tanto disorganizzato. Sì, potrebbe cogliere qualcuno l’opportunità per protestare, ma sarà solo una voce che urla nel deserto.

Il rumore si rapporta solo al silenzio che lo precedeva. Nella quiete più assoluta, più sconvolgente è il tuono.

E’ da generazioni che i nostri leader non sentono la voce del popolo, Eve… e questa è molto, molto più forte di quanto vogliano ricordare.

Ieri rileggevo quel capolavoro della letteratura disegnata che è “V for Vendetta”. Conclusione: porca paletta, Alan Moore è Dio (e David Lloyd è il suo profeta). Alan Moore, per chi in questo paese che disprezza il fumetto come ‘roba per bambini’, è l’autore di From Hell, La lega degli straordinari gentlemen, Promethea, Tom Strong, Lost girls, di alcune delle più belle storie della DC Comics (come “The killing joke” o “In darkest night”) e di quei capolavori (della letteratura-e-basta) che sono Watchmen e la seconda serie  di Swamp Thing.

Sarebbe anche interessante notare come l’idea di una distopia nella Gran Bretagna allora prossima ventura (gli anni ’90) sia venuta a Moore immaginando un futuro totalitario creatosi dopo una guerra nucleare, ma di come egli stesso, tornando sul lavoro in seguito (QUI la storia della pubblicazione), ammise di avere progressivamente aumentato la carica anarchica della contestazione al potere della storia a partire dal fatto che i governi conservatori della Thatcher fossero un chiaro esempio di autoritarismo razzista, militarista e paratotalitario -e come dimostrassero che non c’è affatto bisogno di una guerra nucleare o di altri eventi simili per arrivarci.

L’edizione Absolute della Planeta De Agostini costa 15 euri, sarebbero i meglio spesi della vostra vita. E non vale ‘ho visto il film’, in quella roba (buona per i “”””rivoluzionari”””” grillini) non c’è un decimo della carica di anarchia del fumetto.

[ah, e il titolo è in originale, visto che “V per Vendetta”, come fu tradotto il titolo del film, in italiano non significa nulla: seriamente, chi di noi dice “A per Ancona”? Casomai, “A di Ancona”, A come Ancona, no? Mah…]

h1

“La porte”, Simone Weil

8 agosto 2010

S’è detto che il prossimo numero di Idioteca, che uscirà ai primi di settembre per un’iniziativa di cui presto scriveremo anche qui, sarà dedicato alla parola-chiave “(Pre)Fabbrica“. Mi raccomando, seguiteci sul blog!

Parlando di Fabbrica, scrittori, marxismo e poesia, tiriamo fuori dal cappello  un testo di Simone Weil. Come dite? Biografia? E biografia sia.

Simone Weil (Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943), per chi non la conoscesse bene, è stata una filosofa francese della prima metà del secolo scorso -a parere di chi scrive, una delle figure più influenti della filosofia religiosa, e non solo, del Novecento.

Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.

"Due forze regnano sull'universo: luce e pesantezza" Da 'L'ombra e la grazia'

Così scriveva ella stessa nel 1934, a 25 anni, nel saggio “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” (leggetevi bene la voce su Wikipedia, fatta insolitamente bene): esso assomma le analisi di una giovanissima professoressa di filosofia al Liceo, di famiglia ebrea e cresciuta ascoltando le lezioni di alcuni dei docenti più influenti di allora, che critica le posizioni filosofiche ed economiche marxiane su una base ‘materialista’, con la critica al necessitarismo e rileggendo criticamente la categoria di oppressione. Coerente fino in fondo con le sue idee, deciderà di entrare nelle officine Renault per conoscere in prima persona e sul suo corpo (già provato da precedenti e precoci malattie) l’alienazione del lavoro di fabbrica alla catena di montaggio. Dalle lettere e dai diari di quel periodo scaturirà il libro La condizione operaia, pubblicato postumo.

Andrà poi a combattere coi repubblicani nella guerra civile spagnola, insieme agli anarchici, ospiterà Trotzkij a casa sua, continuerà a viaggiare per l’Europa approfondendo sempre più la radice religiosa del suo pensiero. In particolare nel saggio La prima radice tratterà la necessità umana del radicamento da un’Europa scossa dai venti di guerra e dal totalitarismo: la direzione cristiana e mistica si avverte anche nel suo rinnovato interesse per l’epica greca, per le radici della sua tragicità, il ruolo del destino individuale  e l’universo di forze che vi si dipinge.

"Io sono convinta che la sventura da un lato, e dall'altro la gioia come adesione pura e totale alla perfetta bellezza, implicando entrambe la perdita dell'esisitenza personale, siano le uniche due chiavi per mezzo delle quali ci è possibile entrare nel paese puro, il paese respirabile; il paese reale" Da 'La Grecia e le intuizioni precristiane'

Fugge da Parigi quando viene invasa dalle truppe tedesche per riparare a Londra e unirsi alla Resistenza francese in esilio. A causa del digiuno intrapreso per sentirsi unita ai suoi connazionali nel paese occupato, le sue già precarie condizioni di salute precipitano e Simone Weil muore, a soli 34 anni, nel sanatorio di Ashford.

Molti dei suoi scritti saranno raccolti dai suoi amici, e pubblicati postumi. Essi comprendono lettere, estratti dai suoi quaderni, frammenti e altro ancora. Una bibliografia parziale ma esauriente si trova QUI.

Non faccio volutamente una sintesi del suo pensiero, ce ne sono di ottime ovunque, le librerie e le biblioteche sono lì per questo.

Ora, il nostro testo; “La porta” -composto probabilmente tra il ’41 e il ’42 e pubblicato in S. Weil, “Poesie”, Milano, Mondadori, 1998.

La porte

Ouvrez-nous donc la porte et nous verrons les vergers,
Nous boirons leur eau froide où la lune a mis sa trace.
La longue route brûle ennemie aux étrangers.
Nous errons sans savoir et ne trouvons nulle place.

Nous voulons voir des fleurs. Ici la soif est sur nous.
Attendant et souffrant, nous voici devant la porte.
S’il le faut nous romprons cette porte avec nos coups.
Nous pressons et poussons, mais la barrière est trop forte.

Il faut languir, attendre et regarder vainement.
Nous regardons la porte ; elle est close, inébranlable.
Nous y fixons nos yeux ; nous pleurons sous le tourment ;
Nous la voyons toujours ; le poids du temps nous accable.

La porte est devant nous ; que nous sert-il de vouloir ?
Il vaut mieux s’en aller abandonnant l’espérance.
Nous n’entrerons jamais. Nous sommes las de la voir…
La porte en s’ouvrant laissa passer tant de silence

Que ni les vergers ne sont parus ni nulle fleur ;
Seul l’espace immense où sont le vide et la lumière
Fut soudain présent de part en part, combla le coeur,
Et lava les yeux presque aveugles sous la poussière.

[traduzione di Roberto Carifi, curatore dell’edizione uscita da Le Lettere di Firenze nel 1993:]

Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,
Berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.
Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l’abbatteremo con i nostri colpi.
Incalziamo e spingiamo, ma la barriera è troppo forte.

Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.
Guardiamo la porta; è chiusa, intransitabile.
Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento piangiamo;
Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

La porta è davanti a noi; a che serve desiderare ?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio

che nessun fiore apparve, nè i verzieri;
Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce
Apparve d’improvviso da parte a parte, colmò il cuore,
Lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.

Attenzione al contenuto multimediale a sorpresa: QUI la registrazione della poesia letta ad alta voce da Selma Weil, madre di Simone.

  • S. Weil, “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”, a cura di G. Gaeta, Milano, Adelphi 1997 [5 ed. ma ristampa del 1983]

h1

E che ti venga la febbre: mostra a Fidenza partecipata dall’Idioteca grazie al Pheega, ovvero “vogliamo gli Strokes!”

17 luglio 2010

Mentre aspetto che mi venga voglia di mandare avanti la tesi, parliamo di Idioteche e giovani.

Il nostro manifesto IDIOlogico, scritto appositamente per raccattare soldi quando eravamo a rischio chiusura dei rubinetti pubblici, recita appunto

un’invenzione espressa dalla creatività di chi, nel III millennio, si permette di avere ancora vent’anni.

Ci permettiamo perciò di autopromuoverci per quel che riguarda un’iniziativa recente: il 3 di luglio ultimo scorso, l’Idioteca ha partecipato in massa alla versione 3.0 dell’iniziativa culturale itinerante più cool di tutta la bassa padana: la mostra “E che ti venga la febbre”!

Dopo la sua nascita sgarrupata nel bel mezzo dell’okkupazione del 38; dopo la tappa guastallese nel marzo dell’anno scorso [notizia QUI; troverete invece QUI la paginetta dell’Idioteca n.2 dove si riporta in stile ‘tema delle medie’ la giornata], dove in una bellissima chiesa sconsacrata si diede sfogo a tutto l’estro artistico di cui si fu capaci (producendo le famose e coloratissime “idioteche giganti” -REMEMBER TO POST PHOTOS IN HERE LATER), quest’anno la mostra ha fatto tappa a Fidenza, all’interno del contenitore socio-culturale Fidenzainscena: mostre, spettacoli, teatro, musica e una calata inascoltabile sono stati i protagonisti della kermesse.

 

Immagine rubata da Flickr di una mostra precedente visto che nessuno pare avere foto di Fidenza. Ma tanto, chi se ne accorgerà mai?

 

Sabato 3 luglio, segnatamente, il programma prevedeva faville con la Notte Bianca (e ospitate di peso, come questa di Freak Antoni che canta con gli Stiron River e non si sa chi sia più demenziale). Noi al pomeriggio si è esposto le opere, insieme a quelle di tanti altri ggiòvani,  nello spazio espositivo dell’Auditorium OF, nel cortile del palazzo delle Orsoline: estro, creatività, colori e in qualche caso medicinali costosissimi gli ingredienti dei quadri.

Più tardi, verso le 7 del pomeriggio, la premiata ditta che si cela sotto il nome di Abele di Babele si è esibita in un reading poetico/narrativo accompagnato da sapienti melodie blues per la gioia del pubblico (che però, a sorpresa, voleva gli Strokes). A seguire, la serata musicale con i Frivoli acoustic trio dominati dallo sfondo di inquietanti proiezioni a cura di Magister.

 

"VOGLIAMO GLI STROKES!!"

 

Mille altre cose hanno coronato la serata: il succitato Freak e gli Stiron River che intonavano “C’ho troppe fighe, non so più chi scegliere” per lo scandalo delle anziane signore che tentavano di portare via mariti e nipoti, TANTISSIMA torta fritta (per non fidentini: crescentine), lisssio ballato a più non posso, performance chiamentiane improvvisate, Cisco più circense che mai con l’erculeo Roglia, aquiloni impazziti nella notte, tipe seminude che mostrano le terga dal primo piano di una libreria Mondadori.

Infine, un omaggio al vero ideatore di tutto questo po’ po’ di roba:  per introdurlo citiamo da Parma Daily, il magazine per ggente ggiòvane.

L’idea proposta da Matteo Casetti, studente universitario presso l’Ateneo di Bologna, ha trovato l’appoggio dell’ Assessorato alla Cultura del Comune di Fidenza e del Tavolo delle Politiche Giovanili.

Il titolo provocatorio riprende una citazione tratta da Pavese a sottolineare il carattere endemico che l’arte può assumere nei giovani, un mezzo espressivo che sia elemento scatenante di situazioni creative e di confronto.

Così, mentre nel Parlamento nazionale ci si azzuffa, in senso letterale, sul testo di legge sulle comunità giovanili [di cui, comunque sarebbe importante conoscere quel che dice –QUI trovate il testo, QUI la registrazione dei lavori dell’aula, QUI un’analisi critica da parte dei simpaticoni del Vag61], noi dietro il buon Figa si resta cazzari seguaci di un’interpretazione personale del Do-it-yourself punkettone: ovvero, anche se non lo sai fare, fallo lo stesso purché tu tu diverta e qualcosa di buono probabilmente ne uscirà, senza scomodare titanismi o improbabili eserciti del surf (al massimo, gli Strokes).

Si ringrazia dunque insieme a: Martina Castigliani -che domattina si laurea- per la logistica; Herr Direktor per gli sbattoni; Giobbe e Ale per la musica e le poesie; Magister per qualunque cosa; Massi per la performance; tutti gli espositori per il lavoro; chi c’era perché c’era e chi è rimasto il giorno dopo al fiume per la botta di vita… ma soprattutto il nostro Matteo Casetti, in arte Figa (le sorti del quale pare tra l’altro si siano repentinamente sollevate grazie alla notorietà acquistata da sapiente organizzatore di cultura quale egli è)! Ci sentiamo dunque di omaggiarlo in questo piece of life dal significativo titolo di “Foto con Figa”.

 

Foto con Figa. Tanta roba.

 

h1

Chi non corre si rivede

10 luglio 2010

Ma la strada unisce o divide? si chiedeva Gregorio seduto su uno di quei paracarri in cemento che dava su un canale qualsiasi fuori Sala Baganza e dietro di lui i vetri oscurati ed il puzzo di gomma strinata rigavano l’asfalto di una qualsiasi strada della provincia parmense. Quella domanda se l’era fatta già trent’anni prima che se ne stava su un muraglione di cimitero tedesco, campagne friburghesi o giù di lì, e guardava fiore in bocca il lento ascendere delle vacche pezzate; Gregorio, stempiato solo un poco, quel tanto da non sembrare proprio un ragazzino, sarebbe rimasto lì per giorni, pochi metri sopra la mulattiera in sterrato che strisciava lungo l’erta ed in cima, al momento liminare del bosco, s’inarcava in un ponticello, solido. Ma furono solo giorni persi a rincorrere il vento, dopo tanti anni di turni alla Nelson-detersivi Gregorio poteva affermarlo con certezza: tutte le mattine a percorrere stropicciato quel rivo d’asfalto – per trent’anni. Ma alla fine quel dubbio continuava ad eroderlo: la strada unisce o divide? Forse dipende: se siamo noi a percorrerla o se siamo spettatori di percorsi altrui. Gregorio questo non lo sapeva o forse non ci voleva pensare perché il pensiero gli avrebbe fatto saltare le cervella a furia di rimpianti o che altro. In Germania, col ventre piatto e muscoli sodi a cingere le ossa, aveva occhi solo per le strade, le percorreva instancabilmente e ad ogni nuova via s’accendeva di un’euforia che manco di fronte ad un harem; ma fu solo questione di mesi e la vita-vera era presto arrivata come un singhiozzo invincibile. L’essere tornato e rimasto a Sala Baganza, per Gregorio, era diventato il ritratto di un fallimento ed era solo la routine a portarlo qualche domenica là, in qualche ombroso anfratto della Val di Taro, lontano dalle strade. Ma la strada unisce o divide? Vallo a chiedere all’ingegner Meloni di Felegara se gli ha fatto piacere vedere la casa ed il podere paterni sventrati dall’A15 per Spezia.

Correggio sta a cinque chilometri dall’inizio dell’autobrennero di Carpi, Modena che è l’auotobahn più meravigliosa che c’è perché se ti metti lissù e hai i soldi e tempo in una giornata intera e anche meno esci sul Mare del Nord, diciamo Amsterdam, tutto senza fare una sola curva, entri a Carpi ed esci lassù. Io ci sono affezionato a questo rullo d’asfalto perché quando vedo le luci del casello d’ingresso, luci proprio da granteatro, colorate e montate sul proscenio di ferri luccicanti, con tutte le cabine ordinate e pulite che ti fan sentire bene anche solo a spiarle dalla provinciale, insomma quando le guardo mi succede una gran bella cosa, cioè non mi sento prigioniero di casa mia italiana, che odio, sì odio alla follia tanto che quando avrò tempo e soldi me ne andrò in America, da tutt’altra parte s’intende, però è sempre andar via.

Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini

h1

Il mestiere di vivere, ancora

8 luglio 2010

“Aver l’impressione che ogni cosa buona che ti tocca  sia un felice errore,
una sorte, un favore immeritato,
non nasce da buon animo, da umiltà e distacco,
ma dal lungo servaggio, dall’accettazione dell’arbitrio e della dittatura.
Hai l’anima dello schiavo, non del santo.”

Cesare Pavese,

via una vecchia mail di Alice
h1

Kleine Fabel, von Franz K.

30 giugno 2010

“Ach”, sagte die Maus, “die Welt wird enger mit jedem Tag. Zuerst war sie so breit, daß ich Angst hatte, ich lief weiter und war glücklich, daß ich endlich rechts und links in der Ferne Mauern sah, aber diese langen Mauern eilen so schnell aufeinander zu, daß ich schon im letzten Zimmer bin, und dort im Winkel steht die Falle, in die ich laufe.”

“Du mußt nur die Laufrichtung ändern”, sagte die Katze und fraß sie.

Franz Kafka

[traduzione: “Ah”, disse il topo, “il mondo diventa ogni giorno più stretto. All’inizio era così ampio che avevo paura, continuavo a camminare ed fui felice di vedere finalmente a destra e a sinistra dei muri in lontananza, ma questi lunghi muri corrono l’uno verso l’altro così velocemente che sono già nell’ultima stanza e là nell’angolo c’è la trappola verso la quale cammino.” “Devi solo cambiare la direzione di marcia” disse il gatto e se lo mangiò.]

Buone 2500 visite a tutti (GNAM).

h1

A un vincitore nel pallone

24 giugno 2010

Perché mettere Saba è troppo banale, e perché “doveva mettere a Cassano” è un testo breve per un post. Perciò, vi beccate il pochissimo nazionalpopolare Giacomino Leopardi in una singolare riflessione sul rapporto tra sport e spirito nazionale, in endecasillabi e settenari. E comunque se la risposta è Iaquinta, la domanda è sbagliata.

Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l’echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell’età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.

Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l’ardua palestra,
Né la palma beata e la corona
D’emula brama il punse. E nell’Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.

Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
Il caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son l’opre de’ mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l’insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.

Tempo forse verrà ch’alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l’aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l’atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese.

Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s’onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
Beata allor che ne’ perigli avvolta,
Se stessa obblia, né delle putri e lente
Ore il danno misura e il flutto ascolta;
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede.

h1

Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen

20 giugno 2010

Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen,

die sich über die Dinge ziehn.

Ich werde den letzen vielleicht nicht vollbringen,

aber versuchen will ich ihn.

Ich kreise um Gott, um den uralten Turm,

und ich kreise jahrtausendelang;

und ich weiß noch nicht: bin ich ein Falke, ein Sturm

oder ein großer Gesang.

Rainer Maria Rilke, dallo Stundenbuch (=Libro d’ore).

Qualche post fa è comparsa su questo blog, in modo estemporaneo, la figura di Lou-Andreas von Salomè. Altro grande esponente della cultura tedesca che si legò all’intellettuale russa fu Rainer Maria Rilke, il grande poeta simbolista. Finché non trovo un suo brano bellissimo che sto cercando (a 17 anni c’è chi esce, ascolta musica e si fidanza e chi legge cupi romanzi simbolisti: la tuttologia ha sempre un prezzo), vi beccate questa poesia come anticipazione.

[EDIT: mi dimenticavo la traduzione… però la musicalità dei versi va a farsi friggere, uffa! Imparate il tedesco!] “Vivo la mia vita in anelli crescenti, che si spingono sopra le cose. Forse non completerò l’ultimo, ma voglio tentarlo. Ruoto intorno al Sole, alla torre antichissima, e ruoto per millenni; e ancora non so: se io sia un falco, una tempesta, o un grande canto.”

h1

A Silly Poem

18 giugno 2010

Said Hamlet to Ophelia,
I’ll draw a sketch of thee,
What kind of pencil shall I use?
2B or not 2B?

[i giochi di parole sono per loro stessa natura intraducibili, e poi, suvvia, questo è proprio facile]

Spike Milligan (scrittore, poeta, drammaturgo, attore in teatro e in TV, comico, autore per radio e televisione, Sir -Cavaliere Comandante dell’ordine dell’Impero Britannico -che scelse come epitaffio “Ve l’avevo detto che ero malato”)

h1

à Mademoiselle ***

26 Maggio 2010

Una sorta di appendice virtuale al numero di Carne. E soprattutto, ricomincia a far caldo e quindi le fanciulle si svestono. Se Verlaine fosse nato 50 anni dopo ne avrebbe fatto dell’ottimo jazz.

Rustique beauté

qu’on a dans les coins,

tu sens bon le foins,

la chair et l’été.

Tes trente-deux dents

de jeune animal

ne vont point trop mal

à tes yeux ardents.

Ton corps dépravant

sous tes habits courts,

-retroussés et lourds,

tes seins en avant,

Tes mollets farauds,

ton buste tentant,

-gai, comme inpudent,

ton cul ferm et gros,

nous boutent au sang

un feu bête et doux

qui nous rend tout fous,

croupe, rein et flanc.

Le petit vacher

tout fier de son cas,

le maître et ses gas,

le gas du berger,

Je meurs si je mens,

Je les trouve heureux.

Tout ces culs-terreux,

d’ être tes amants.

Traduzione in impoetica prosa, ché non c’ho voglia (prossima volta v’imparate il francese):

Rustica bellezza, che si possiede negli anfratti, tu dai profumo al fieno, alla carne e all’estate. I tuoi trentadue denti di giovane animale non stonano affatto coi tuoi occhi ardenti. Il tuo corpo eccitante (lett. depravante) sotto i tuoi abiti corti -tirati su e pesanti, i tuoi seni in avanti, i tuoi morbidi polpacci, il tuo busto tentatore .gaio, come impudente, il tuo culo sodo e grosso, ci iniettano nel sangue un fuoco bestiale e dolce che ci rende del tutto folli, schiena, reni e fianchi. Il piccolo vaccaro tutto fiero del suo letamaio, il padrone coi suoi peti, i peti del pastore, possa morire se mento!, io li trovo felici, tutti questi zoticoni, d’essere tuoi amanti.

E leggete i commenti, pleeease.

h1

Ah, gli idioti. Ah, i lunatici. Ah, i pozzi.

2 aprile 2010

Tra idioti e lunatici, forse, ci si intende.

“C’è stata all’inizio questa cosa stranissima che probabilmente non sarà creduta, ma si trovano scritti in bottiglia nel fondo dei pozzi.
Chissà cosa significa, mi sono chiesto, buttare in un pozzo un messaggio in bottiglia, come farebbe un naufrago in mare; e sono su questo sempre rimasto piuttosto perplesso.
E’ frequente però nelle pianure, mi hanno detto, trovare nei pozzi lettere, biglietti, lettere minatorie o scarabocchi tappati dentro a una bottiglia. E ci sono cose anche più strampalate che si vedono galleggiare sul fondo.
Questo fenomeno non si sa spiegare; anzi in molti credono che l’acqua dei pozzi sia comunicante nel sottosuolo, e che qui in pianura si sentono dai pozzi spesso venire voci o lamenti, e ci si sente a volte chiamare per nome. E’ difficile forse da credere anche se la cosa è risaputa e comune; ma qui dicevano che le voci sono come le bottiglie che non si capiscono le une come non si capiscono le altre. Potrebbero essere superstizioni, in un certo senso.
Comunque a girare ho incominciato alla fine di agosto, ma così, con poche speranze. Ossia, avevo qualche speranza, ma non la dicevo. E ho seguito come direzione la linea pedemontana, che attraversa anche delle città.
Qualcuno mi ha detto che avrei trovato solo dell’acqua; invece non è stato proprio del tutto così.
Provando a pescare, ho trovato all’ inizio del ferro, sul fondo, delle forchette vecchie, degli uncini; tutti molto arrugginiti. A Salvaterra ho trovato il manico di una cariola, e anche il contadino che mi aiutava ne è rimasto stupito.
Mi ha detto anzi che vicino al pozzo ci stava una vecchia, in passato. Si sedeva lì a pulire i radicchi, e era come se il pozzo le tenesse dei discorsi. E non solo; quando si metteva a parlare alla vecchia le braccia le sembravno due pezzi di corda, e non poteva sollevare un radicchio.
Io ho ascoltato senza pronuinciarmi granché; poi abbiamo pescato una calamita rotta e degli anelli di ottone, credo.
Poi anche, mentre giravo a caso, mi han detto che si era trovato una volta un comizio in una bottiglia. Un comizio di un socialista, o quasi.”

da Il poema dei lunatici, E. Cavazzoni.