Archive for agosto 2010

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Kebabträume in der Türmestadt

31 agosto 2010

Ove si parla di carne speziata, questione curda, ordinanze xenofobe, turchi in Germania e post-punk.

Qualche tempo fa, in una kebabberia di via delle Moline, chi scrive ha assistito alla seguente scena:

entra un avventore, si guarda intorno, chiede al gestore di Saleem (? così mi parve di capire), visto che questi gli ha dato un appuntamento.

-No, non c’è.

-Però lui aveva detto che venivo alle 2, che lui c’era.

-Io non so niente, non mi ha detto niente, puoi tornare dopo.

-Ma Saleem non c’è? Quando viene lui?

-Non lo so, non ci siamo visti, forse lo sa l’altro ragazzo. Vuoi che lo chiamo?

-Sì, perché lui mi aveva detto alle 2.

A questo punto l’avventore s’illumina e chiede:

-Turco?

-No, curdo.

-Saleem parla turco. Parli turco?

-(seccato) No.

-Ma come non parli turco, Saleem parla turco. (si esprime in una lingua incomprensibile al redattore)

-No, ho detto te prima che sono curdo. Saleem è turco, parla turco.

-Ma non c’è Saleem? Lui parla turco, ha detto ci vediamo alle 2, io non so quando arriva.

-(visibilmente stizzito) Io non so niente. Tornare dopo, chiedi dopo.

-Va bene (capisce l’antifona e se ne va).

Dissapori etnici davanti al Doner Kebab, il quale in effetti, nella versione che conosciamo col super-girarrosto, è un piatto turco.

La parola Kebab (o Kebap, in turco) però in arabo significa semplicemente “carne arrostita” e ne esistono perciò svariate versioni  dall’India e al Pakistan al bacino del Mediterraneo fino alla Grecia, che è anche l’arco che percorrono con i mezzi più svariati i migranti che arrivano sulle coste dell’Adriatico per cercare fortuna (ed è noto quanto spesso questi viaggi, soprattutto per kurdi ed iracheni, si fermino nei porti della Grecia che ha una legislazione a dir poco restrittiva sul diritto di asilo), e non è detto che Venezia o Ancona siano terra ospitale. Qualcuno scriveva che la parola fortuna in curdo non esiste.

Il cibo, invece, non conosce frontiere, le attraversa tutte e le ibrida in continuazione. Certo, la diffusione in Europa del kebab è dovuta all’immigrazione turca e dai paesi arabi: la sua presa, soprattutto tra gli squattrinati universitari, è soprattutto dovuta ai prezzi modici rapportati all’apporto calorico. Per questo motivo, nel Belpaese le solite giunte forzaleghiste del cazzo hanno in più di un luogo sollevato dei problemi (sanciti dall’immancabile ordinanza) all’aumento dei kebabbari: vedi il caso di Lucca, la proposta a Firenze, il centro di Roma, l’esempio della ‘capitale morale’ Milano, in Liguria ad Albenga, quei posti in Lombardia dai nomi ridicoli e oscuri che dovrebbero essere cancellati dalla faccia della terra, nonché Bergamo. Chi volesse rendersi conto dell’entità numerica di provvedimenti simili nella sola Lombardia, vada pure QUI. Così, tanto per dare un’idea. Bella merda.

Si diceva però dei cibi che migrano e si ibridano insieme con chi li prepara. Il fatto è che il Kebap ha viaggiato insieme all’immigrazione turca in Germania, lì ha messo radici (anche industriali) e da lì è rimbalzato nelle città di mezza Europa. Citiamo da questo post in memoria dell’inventore del super girarrosto che ha reso possibile la vita di chi frequenta il 36:

Nel 1971, un turco immigrato in Germania dà una mano nel ristorante di suo zio, a Berlino. Gli viene allora l’illuminazione che cambierà le abitudini alimentari dei festaroli: mettere delle fettine di carne di montone nella pita, il pane rotondo tradizionale del Mediterraneo orientale. Vi si aggiungono pomodori, cipolle e la famosa salsa bianca, l’altra invenzione di un Mehmet Aygun decisamente ispirato.

“Doner kebab” significa per l’appunto, kebab rotante. Ma veniamo ora alla musica. Il titolo del post è infatti una citazione da “Kebabträume” dei Deutsche-Amerikanische Freundschaft, ovvero i DAF, gruppo di culto della New wave tedesca anni ’80, dediti all’elettronica, al post-punk e alla dissacrazione di qualunque riferimento ad un immaginario politico (è loro il pezzo ‘Der Mussolini‘). Negli anni del montare della protesta dell’Ovest contro l’immigrazione turca ‘senza freni’ che metteva a repentaglio ‘l’identità tedesca’ (non sentite un brivido?), i Daf sfornano un pezzo elettronico che ribalta il segno delle contestazioni e in cui si canta “Wir sind die Türken von Morgen” (=noi siamo i turchi di domani). In effetti oggi Berlino è uno dei posti dove il kebab è ormai tipico (consigli sul kebab berlinese qui, chi capisse il tedesco troverà qui un dibattito interessante), e la famosa serie tradotta come Kebab for breakfast in originale si chiama in effetti “Türkisch für Anfänger” (=turco per principianti).

Il testo per intero recita:

Kebab Träume in der Mauer-Stadt (sogni di Kebab nella città del muro)
Türkkültür hinter Stacheldraht (cultura turca sotto il filo spinato)
Neue Izmir ist in der DDR (la nuova Smirne è nella RDT)
Atatürk der neue Herr (Atatürk il nuovo capo/signore)

Milliyet für die Sowjetunion (“Nazionalità”-un giornale turco- per l’Unione Sovietica)
In jeder Imbißstube ein Spion (in ogni tavola calda una spia)
Im ZK Agent aus Türkei (nel Comitato centrale un agente dalla Turchia)
Deutschland, Deutschland, alles ist vorbei! (Germania, Germania, tutto è spacciato)

Wir sind die Türken von Morgen (noi siamo i turchi di domani)
Wir sind die Türken von Morgen

Ed eccovi qua una bella esibizione live:

E siccome conosco un po’ i gusti della redazione, informo che l’hanno fatta in versione punkettona anche i CCCP, quando ancora si chiamavano Mithropank

  • La consueta segnalazione bibliofila: su curdi e dintorni obbligatorio il bellissimo fumetto di Marina Girardi (questo il suo blog), “Kurden People”, Bologna, Comma 22, 2009. Sui deliri di xenofoba onnipotenza legaiola, Giuseppe Civati, “Regione straniera“, Milano, Melampo, 2009 (anche in questo caso l’ottimo blog). Per un esempio positivo, Enzo Laforgia – Giovanna Ferloni, “Salamelle & kebab : incontri di culture in una provincia lombarda”, Varese : Arterigere, 2008.
  • Più il film di Fatih Akin del 2004, “Kebab connection“.

Ne approfittiamo per lanciare… IL SECONDO CONCORSO IDIOTECARO! ovvero:

qual è il kebabbaro più buono di Bologna?

Partecipate numerosi con i commenti (e condividete su FB)!

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Rainbow Stalin!

30 agosto 2010

L’appuntamento alla Festa dell’Ernesto è finalmente trascorso e si può navigare verso nuovi lidi, come l’uscita (a settembre -forse) del prossimo numero. Di tutte le cose belle che sono successe ieri scriveremo quando avremo delle foto (Zadra? Zaaadra?): intanto ringraziamo ufficialmente Fabio Franzin, Stefano Colangelo, Il Roglia (“Il” è il nome), tutti i presenti e in particolare il Figa (perché il Figa? Vedi commento) e chi ha messo a disposizione lo spazio, compreso un tizio molto biondo e molto anconetano dalle cui posizioni politiche Herr Direktor dissente (ci teneva a ricordarlo).

Adesso posso finalmente postare questo:



Spiegazione. Nel 2001 nasce la comunità online YTMND, dall’acronimo di ‘You’re the man now, dog’ -da una frase nel film Scoprendo Forrester. Il sito esiste anche oggi ed è uno dei più aggiornati siti gratuiti di hosting di pagine con animazioni e musica. Negli anni ha dato vita a una impressionante quantità di ‘internet memes‘, fenomeni vari di imitazione, flame a non finire e soprattutto è diventato un po’ un fenomeno a sua volta.

Tra i tormentoni creati, nel 2006 vi fu un’immagine creata sulla base della canzone “All this love” del duo elettrodance Similou che nel ritornello recita “Rainbow stylin'” (=stile arcobaleno)… E da Rainbow Stylin’ a Rainbow Stalin il passo fu breve…

Ecco TUTTE le animazioni create per Rainbow Stalin su YTMND. Il video su Youtube ne monta tra di loro un po’, comunque l’originale è questa http://rainbowstalin.ytmnd.com/ La cultura pop riesce a mangiarsi praticamente tutto.

E ora ballate tutti insieme al Piccolo Padre!

Mi raccomando, convidete su Facebook e cose varie.

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Appuntamento idiotecaro imperdibile

27 agosto 2010

28 agosto, ore 18.3o

FESTA NAZIONALE DELL’ERNESTO

(parco di viale Togliatti)

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=get_filearticolo&IDArticolo=19598

28 agosto "Produzione e perdizione" alla Festa dell'Ernesto

Fabio Franzin e Stefano Colangelo

intervistati dall’ottimo Roglia!

NON MANCATE!

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Sessant’anni sono passati

27 agosto 2010

“Il polso della vita batte ora non più in una corte o in una piccola classe ma nei grandi organismi collettivi (le fabbriche, i campi sportivi, gli organismi democratici ecc. – fra parentesi anche per questo sono comunista) e si tratta di trovare il linguaggio tendenzialmente acconcio a toccare questi molti lettori  – questo tipico lettore ‘uomo e basta’. Ma ciò deve essere fatto senza rinunziare a nessuno dei valori acquisiti in passato, senza abbassarsi al popolo: ma sollevando il popolo”.

Cesare Pavese – 15 gennaio 1950

Il 27 agosto 1950 C.P. moriva.

  • “Il mestiere di vivere”, ovviamente va letto. Consiglio libresco: Sergio Pautasso, “Cesare Pavese oltre il mito : il mestiere di scrivere come mestiere di vivere”, Genova, Marietti, 2000
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Il segreto di metà dei blog su Splinder

26 agosto 2010

O meglio: di metà dei blog su Splinder, di una parte consistente dei Fotolog, qualcosa come il 60% della roba postata su Flickr e continuare l’elenco sarebbe troppo lungo.

LOAL

Seriamente, qualcuno mi spiega perché e da quando si è deciso che spendere centinaia e centinaia di euri su obiettivi professionali che NON si sanno usare è considerato figo invece che da ritardati?

Comunque, non mi ricordo minimamente dove abbia trovato l’immagine, QUI c’è un’irenica ricerca su Tineye.com

[ah, comunque l’helvetica è e rimane una figata di font, a scanso di equivoci. QUI troverete un’applicazione dei più fondamentalisti per sostituire l’Helvetica al Comic Sans MS tutte le volte che lo troverete sul web. QUI abbiamo un vero e proprio documentario ben realizzato sulla nascita, gli usi e le caratterizzazioni del font; meco**ni! In ogni caso, tutti odiamo il Comic Sans e ne siamo orgogliosi]

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Spes ultimum solacium adversarum rerum

26 agosto 2010

Secondo me, a gufare un poco, potrebbe persino materializzarsi la possibilità che in questa vicenda prima o poi i rivali si distruggano a vicenda. In una grossa esplosione, possibilmente. Sperare è sempre lecito, no?

[con questo credo anche di riassumere cosa penso del fatto che quest’anno abbiamo visto ospitare nei centri sociali decine di incontri con gli ultrà, diventati improvvisamente ‘de sinistra’ e antiautoritari per via dell’opposizione alla TdT, pare. Mah.]

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Bologna de m**da

25 agosto 2010

Uno cerca di sforzarsi di mettere roba sul blog e le visite aumentano, se aumentano, di un pochetto. Dice alla gente “condividetelo su Facebook” e le visite quadruplicano. Ci dev’essere una lezione in tutto questo, ma non so quale. E comunque vi beccate questo:

Me ne vado… da questa Bologna addormentata, la Bologna leccaculo, borghese e cocainomane: la Bologna dei massoni, provinciale, la Bologna precaria dell’ “andiamo avanti”, del “volemose bene”, de “passami la canna”…

Così attacca il pezzo di tale Dario de Roma, dj, facendo ovviamente l’ideale verso a “Mamma Roma addio” di Remo Remotti -fatto salvo il testo recitato in modo un po’ strascicato su una base finto-truzza: certo non è un capolavoro, ma l’esperimento funziona.

Tutti, tutti abbiamo presente di cosa si parli con “la Bologna del soccmel ben in pant [bisogna tradurre?], di a tal deg mè [=te lo dico io], la Bologna del bolognese doc” , o la Bologna dei fascistelli, dei punkabbestia, dei ciellini, dei vigli urbani, degli after… “del Decadence, dei sushi bar, dello stile […] del Kasamatta, del Sodapops” “la Bologna della Linea, quella fetente e codarda”…

Che dire? Ascoltate e discutete (e, a ‘sto punto, condividete su Facebook con l’apposita icona qui sotto… )!

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Da “V for Vendetta”

25 agosto 2010

Parte 3, “La terra del fa’-come-ti-pare”, capitolo 1, “Vox populi”:

Non basta affidarsi troppo alle maggioranze silenziose, perchè è cosa fragile il silenzio…un rumore forte e va via.

Ma è tanto intimorito il popolo, tanto disorganizzato. Sì, potrebbe cogliere qualcuno l’opportunità per protestare, ma sarà solo una voce che urla nel deserto.

Il rumore si rapporta solo al silenzio che lo precedeva. Nella quiete più assoluta, più sconvolgente è il tuono.

E’ da generazioni che i nostri leader non sentono la voce del popolo, Eve… e questa è molto, molto più forte di quanto vogliano ricordare.

Ieri rileggevo quel capolavoro della letteratura disegnata che è “V for Vendetta”. Conclusione: porca paletta, Alan Moore è Dio (e David Lloyd è il suo profeta). Alan Moore, per chi in questo paese che disprezza il fumetto come ‘roba per bambini’, è l’autore di From Hell, La lega degli straordinari gentlemen, Promethea, Tom Strong, Lost girls, di alcune delle più belle storie della DC Comics (come “The killing joke” o “In darkest night”) e di quei capolavori (della letteratura-e-basta) che sono Watchmen e la seconda serie  di Swamp Thing.

Sarebbe anche interessante notare come l’idea di una distopia nella Gran Bretagna allora prossima ventura (gli anni ’90) sia venuta a Moore immaginando un futuro totalitario creatosi dopo una guerra nucleare, ma di come egli stesso, tornando sul lavoro in seguito (QUI la storia della pubblicazione), ammise di avere progressivamente aumentato la carica anarchica della contestazione al potere della storia a partire dal fatto che i governi conservatori della Thatcher fossero un chiaro esempio di autoritarismo razzista, militarista e paratotalitario -e come dimostrassero che non c’è affatto bisogno di una guerra nucleare o di altri eventi simili per arrivarci.

L’edizione Absolute della Planeta De Agostini costa 15 euri, sarebbero i meglio spesi della vostra vita. E non vale ‘ho visto il film’, in quella roba (buona per i “”””rivoluzionari”””” grillini) non c’è un decimo della carica di anarchia del fumetto.

[ah, e il titolo è in originale, visto che “V per Vendetta”, come fu tradotto il titolo del film, in italiano non significa nulla: seriamente, chi di noi dice “A per Ancona”? Casomai, “A di Ancona”, A come Ancona, no? Mah…]

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Patrick Watson, “The great escape”

22 agosto 2010

Il video è bello

Il blog dell’idioteca è bello.

QUINDI il video è da postare sul blog dell’idioteca.

Sillogismo liberamente reinterpretato da M.Z.

[diritti prosaicamente da attribuirsi alla Secret City records]

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Come siete arrivati qui/1

19 agosto 2010

Da una camera abitata, colmata di vita dagli oggetti utili e inutili di cui ci circondiamo, si ricomincia a scrivere.

Dunque, i passi per arrivare qui.

Google:

da Googol, numero inventato dal matematico Edward Kasner nel libro “Matematica e immaginazione” per spiegare in modo semplice, maledizione!, che la matematica è una cosa meravigliosa e piena di cose belle -così per dare un nome a un numero molto molto grande (con cento zeri!) chiamò il suo nipotino di 9 anni che gli suggerì il nome Googol.

Quando i 25enni Larry Page e Sergey Brin, dalle loro camere all’università (forse poco diverse da quelle degli studenti attuali, forse appena più nerd) crearono il proprio motore di ricerca, scelsero quel nome: pare sia stato poi male interpretato dall’ufficio brevetti.

Google è nulla più che un algoritmo matematico: algoritmo, a sua volta, è parola importata dall’arabo (insieme a tante altre) che deriva dal nome del matematico/astronomo Al-Kwarizmi; e chissà che non scrivesse sotto le stelle, da qualche finestra del palazzo del califfo di Baghdad.

Cos’è la Google, Inc. oggi? Una potenza economica, con sede a Mountain View, nel cuore della Silicon Valley -che grazie alla facilità d’uso del motore di ricerca, all’acquisizione di Youtube, ai servizi di posta e tante altre cosette è arrivata a una posizione di preminenza anche nel cosiddetto web 2.0 (con non poche ombre sulle varie luci, però). Mountain View è appunto una città californiana, sede di svariate industrie dell’hi-tech (Nokia, AOL, LinkedIn, tantissime altre), in cui ha sede anche il Googleplex, la sede di Google. Tetti bassi, pannelli solari ovunque, sfere di gomma giganti e uno scheletro di dinosauro: tutto ciò per invogliare i dipendenti ad essere più stimolati. Il tutto comprende ovviamente la vista delle montagne di fianco agli stagni di Shoreline Park , oasi ornitologica, la catena delle Santa Cruz che chiude la baia di San Francisco, con i suoi vigneti, il Parco naturale, i raduni hippie, i cervi e i puma.

La prossima parola sarà “Idioteca”.

  • Francesco Antinucci, “L’algoritmo al potere : vita quotidiana ai tempi di Google”, Roma-Bari, Laterza, 2009
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Buon compleanno hip-hop/1

11 agosto 2010

So bene che la maggior parte della redazione ascolta solo post-punk; o indie; o Capossela (anzi, “Vinicio”); o musica balcanica, oppure ancora gruppi sconosciuti categorizzate sotto generi con nomi che non capisco, però ci proviamo lo stesso.

Non sono molti i generi musicali di cui si possano rintracciare esattamente la data e il luogo di nascita: convenzionalmente, l’hip-hop è uno di questi.

11 agosto 1973, New York City, 1520 Sedgwick Avenue, così narrano le cronache di chi c’era e che negli anni successivi da quella stanza fece tanta strada.

Prima, un po’ di storia: siamo nel Bronx, quartiere abitato in gran parte da afroamer… eh? No, scherzavo, volevo dire neri. Neri perché non si capirebbe niente dell’hip hop delle origini senza collegarlo al movimento di consapevolezza nera degli anni ’60 e ’70 (mica finì tutto con MLK, eh!), al degrado delle periferie cui la polizia rispondeva con la militarizzazione e gli arresti, soprattutto il disagio di un’intera generazione di giovani cresciuti in strada, tra le droghe, la microcriminalità e la rabbia della mancanza di prospettive di ascesa sociale.

Quali erano le forme di aggregazione dei ragazzi adolescenti o poco più? Intanto, il tagging, scrivere il proprio nome sui muri per marcare un territorio; per arrivare a quello che chiamiamo più propriamente il writing (con bombolette e tutto quanto), si passa da quella che fu semplicemente una gara a chi aveva il nome più fantasioso, scritto col pennarello più fico e poi più eleaborato. Le bande di strada, perché quello era il luogo in cui bene o male si cresceva veramente, si socializzava e si ‘facava gruppo’ -un argine di rispetto e persino solidarietà. Poi, guarda caso, la musica blues e il funky, da ballarsi nelle feste organizzate in casa di questo o quell’amico. Lì nascono modi di fare come quello del mettere una base su un disco e continuare a  metterla in loop; quello di qualcuno che ‘tenga su’ la festa e dal microfono richiami la gente; soprattutto, un tipo di ballo basato su pochi passi e molto energico che sarebbe stato poi conosciuto come break – dance.

Torniamo a noi; l’11 agosto 1973, in una di queste feste, il diciottenne Clive Campbell, noto sotto lo pseudonimo di DJ Kool Herc, fa la sua prima ‘apparizione pubblica’ dopo aver creato tra i ragazzi del quartiere un clima di suspence per aver scritto il suo nome per mesi sui muri del Bronx. DJ Kool Herc sarà il dj della serata, e gli viene l’idea di utilizzare due dischi con l’intro di alcune canzoni funky, come “Meltin Pot” dei Booker T, e soprattutto “Give it up or turn a loose” di James Brown, che è questa qui -in un’esibizione del vivo a Bologna, già che ci siamo.

Il pezzo solo di beat in loop che gira su due dischi, lo stile rap, improvvisati MC lui e qualche amico; ma gli amici erano gente del calibro di Afrika Bambaataa. Citiamo dalla wikipedia italiana:

Ispirato da DJ Kool Herc and Kool DJ Dee, iniziò anch’egli ad ospitare delle feste hip-hop. Promise a se stesso di utilizzare l’hip-hop per strappare i ragazzi dalle gangs e formò la Universal Zulu Nation. Bambaataa è accreditato per avere esteso e valorizzato il significato di hip-hop. “Hip-Hop” era un termine comunemente utilizzato dagli MCs come parte di uno stile ritmato di ispirazione scat e Bambaataa se ne appropriò per descrivere una cultura emergente, che includeva quattro elementi: la musica dei DJs, il liricismo e la poesia degli MCs, il ballo dei cosiddetti b-boys e b-girls, e la “graffiti art”.

Separatamente, erano tutte cose che già si facevano, nel Bronx e negli altri quartieri di NYC. Quella sera, però, nacque compiutamente l’embrione della consapevolezza che una nuova ‘cultura’ stava nascendo, che aveva le sue radici nella strada, un po’ nella protesta e nella rabbia e un po’ nella festa e nella spensieratezza. Il miglior hip -hop in fondo questo è rimasto; un genere musicale che non ha bisogno di portarsi dietro strumenti, finché gli basteranno i pugni in tasca di qualche ragazzo o ragazza che sappia battere il ritmo bum/cha e abbia delle cose da dire in rima.

…Seguirà post sull’hip hop bolognese, abbiate fede…

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Se tu vuoi costruire una barca

10 agosto 2010

“Se tu vuoi costruire una barca, non iniziare a far raccogliere  agli uomini il legno, distribuire compiti e suddividere il lavoro, ma rivela al loro cuore la nostalgia del mare ampio e infinito.”

[Quand tu veux construire un bateau, ne commence pas par rassembler du bois, couper des planches et distribuer du travail, mais reveille au sein des hommes le desir de la mer grande et large. ]

Antoine de Saint-Exupéry, “Cittadella” (fonte non individuabile con certezza). Che ne pensate?

Ah, e non mettiamo immagini o cose simili perché sarebbe troppo troppo facile -maledetti sinistroidi, avete rovinato il Piccolo Principe!

Comunque, il blog dell’idioteca si arricchisce di un nuovo superfichissimo servizio: ogni post sarà accompagnato da una segnalazione di un libro/film/album.

  • A. de Saint-Exupéry, “Terra degli uomini”, Milano, Mursia 2007
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Kierkegaard sui politici e i docenti

8 agosto 2010

Prima di andare a dormire, un paio di estratti dal “Diario” di Søren Aabye Kierkegaard (quel che leggevo a 17 anni, discorso già fatto):

i nostri politicanti sono come i pronomi reciproci greci che mancano del nominativo, del singolare, e di tutti i casi del soggetto: non si possono pensare che al plurale o nei casi obliqui.

(frammento 471 della numerazione Fabro dell’editio maior per Morcelliana del 1962-3, poi variamente aumentata)

Siccome poi molti di voi si muovono in ambito universitario, è interessante leggere che pensava dei docenti a lui contemporanei:

L’uomo comune io l’amo, i docenti mi fanno ribrezzo.

E’ stata proprio la categoria dei “docenti” che ha demoralizzato l’umanità. Se si lasciasse il mondo com’è in realtà, quei pochi che veramente sono al servizio dell’idea o che stanno ancora più in alto al servizio di Dio – e poi il popolo: tutto andrebbe per il meglio.

Ma c’è quest’infamia che tra gli eminenti e il popolo si intrufolano queste canaglie, questa masnada di briganti, che sotto l’apparenza di servie anch’essi all’idea, tradiscono i suoi veri servitori e confondono la testa al popolo, e tutto per spillare miserabili vantaggi terrestri.

Se non ci fosse l’inferno, bisognerebbe crearne uno apposta per i docenti, il cui crimine è precisamente anche di tal fatta che non si può facilmente punire in questo mondo.

(frammento 3059)

Amen (chissà che scriverebbe se avesse un blog al giorno d’oggi, il Kierkegaard -citazione da qui). Vi risparmio la violenza verbale che esercitanei confronti dei giornalisti in svariati luoghi; se v’interessa, l’acquisto è sempre consigliato – l’edizione ridotta del Diario nella BUR costa 9,50 euri. No?

Anche qui, bonus audiovideo (di carattere scemo, a ‘sto giro):

  • S. A. Kierkegaard, “Diario”, a cura di C. Fabro, Milano, Rizzoli 2000
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“La porte”, Simone Weil

8 agosto 2010

S’è detto che il prossimo numero di Idioteca, che uscirà ai primi di settembre per un’iniziativa di cui presto scriveremo anche qui, sarà dedicato alla parola-chiave “(Pre)Fabbrica“. Mi raccomando, seguiteci sul blog!

Parlando di Fabbrica, scrittori, marxismo e poesia, tiriamo fuori dal cappello  un testo di Simone Weil. Come dite? Biografia? E biografia sia.

Simone Weil (Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943), per chi non la conoscesse bene, è stata una filosofa francese della prima metà del secolo scorso -a parere di chi scrive, una delle figure più influenti della filosofia religiosa, e non solo, del Novecento.

Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.

"Due forze regnano sull'universo: luce e pesantezza" Da 'L'ombra e la grazia'

Così scriveva ella stessa nel 1934, a 25 anni, nel saggio “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” (leggetevi bene la voce su Wikipedia, fatta insolitamente bene): esso assomma le analisi di una giovanissima professoressa di filosofia al Liceo, di famiglia ebrea e cresciuta ascoltando le lezioni di alcuni dei docenti più influenti di allora, che critica le posizioni filosofiche ed economiche marxiane su una base ‘materialista’, con la critica al necessitarismo e rileggendo criticamente la categoria di oppressione. Coerente fino in fondo con le sue idee, deciderà di entrare nelle officine Renault per conoscere in prima persona e sul suo corpo (già provato da precedenti e precoci malattie) l’alienazione del lavoro di fabbrica alla catena di montaggio. Dalle lettere e dai diari di quel periodo scaturirà il libro La condizione operaia, pubblicato postumo.

Andrà poi a combattere coi repubblicani nella guerra civile spagnola, insieme agli anarchici, ospiterà Trotzkij a casa sua, continuerà a viaggiare per l’Europa approfondendo sempre più la radice religiosa del suo pensiero. In particolare nel saggio La prima radice tratterà la necessità umana del radicamento da un’Europa scossa dai venti di guerra e dal totalitarismo: la direzione cristiana e mistica si avverte anche nel suo rinnovato interesse per l’epica greca, per le radici della sua tragicità, il ruolo del destino individuale  e l’universo di forze che vi si dipinge.

"Io sono convinta che la sventura da un lato, e dall'altro la gioia come adesione pura e totale alla perfetta bellezza, implicando entrambe la perdita dell'esisitenza personale, siano le uniche due chiavi per mezzo delle quali ci è possibile entrare nel paese puro, il paese respirabile; il paese reale" Da 'La Grecia e le intuizioni precristiane'

Fugge da Parigi quando viene invasa dalle truppe tedesche per riparare a Londra e unirsi alla Resistenza francese in esilio. A causa del digiuno intrapreso per sentirsi unita ai suoi connazionali nel paese occupato, le sue già precarie condizioni di salute precipitano e Simone Weil muore, a soli 34 anni, nel sanatorio di Ashford.

Molti dei suoi scritti saranno raccolti dai suoi amici, e pubblicati postumi. Essi comprendono lettere, estratti dai suoi quaderni, frammenti e altro ancora. Una bibliografia parziale ma esauriente si trova QUI.

Non faccio volutamente una sintesi del suo pensiero, ce ne sono di ottime ovunque, le librerie e le biblioteche sono lì per questo.

Ora, il nostro testo; “La porta” -composto probabilmente tra il ’41 e il ’42 e pubblicato in S. Weil, “Poesie”, Milano, Mondadori, 1998.

La porte

Ouvrez-nous donc la porte et nous verrons les vergers,
Nous boirons leur eau froide où la lune a mis sa trace.
La longue route brûle ennemie aux étrangers.
Nous errons sans savoir et ne trouvons nulle place.

Nous voulons voir des fleurs. Ici la soif est sur nous.
Attendant et souffrant, nous voici devant la porte.
S’il le faut nous romprons cette porte avec nos coups.
Nous pressons et poussons, mais la barrière est trop forte.

Il faut languir, attendre et regarder vainement.
Nous regardons la porte ; elle est close, inébranlable.
Nous y fixons nos yeux ; nous pleurons sous le tourment ;
Nous la voyons toujours ; le poids du temps nous accable.

La porte est devant nous ; que nous sert-il de vouloir ?
Il vaut mieux s’en aller abandonnant l’espérance.
Nous n’entrerons jamais. Nous sommes las de la voir…
La porte en s’ouvrant laissa passer tant de silence

Que ni les vergers ne sont parus ni nulle fleur ;
Seul l’espace immense où sont le vide et la lumière
Fut soudain présent de part en part, combla le coeur,
Et lava les yeux presque aveugles sous la poussière.

[traduzione di Roberto Carifi, curatore dell’edizione uscita da Le Lettere di Firenze nel 1993:]

Aprite la porta, dunque, e vedremo i verzieri,
Berremo la loro acqua fredda che la luna ha traversato.
Il lungo cammino arde ostile agli stranieri.
Erriamo senza sapere e non troviamo luogo.Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.
Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l’abbatteremo con i nostri colpi.
Incalziamo e spingiamo, ma la barriera è troppo forte.

Bisogna attendere, sfiniti, guardare invano.
Guardiamo la porta; è chiusa, intransitabile.
Vi fissiamo lo sguardo; nel tormento piangiamo;
Noi la vediamo sempre, gravati dal peso del tempo.

La porta è davanti a noi; a che serve desiderare ?
Meglio sarebbe andare senza più speranza.
Non entreremo mai. Siamo stanchi di vederla.
La porta aprendosi liberò tanto silenzio

che nessun fiore apparve, nè i verzieri;
Solo lo spazio immenso nel vuoto e nella luce
Apparve d’improvviso da parte a parte, colmò il cuore,
Lavò gli occhi quasi ciechi sotto la polvere.

Attenzione al contenuto multimediale a sorpresa: QUI la registrazione della poesia letta ad alta voce da Selma Weil, madre di Simone.

  • S. Weil, “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”, a cura di G. Gaeta, Milano, Adelphi 1997 [5 ed. ma ristampa del 1983]

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Oggi mi sono alzato male, e tant’è.

7 agosto 2010

Niente di personale, ma ci sono di quelle giornate in cui ti svegli male e già dal primo mattino le cose iniziano ad andare storte. Dal momento che questo è il blog di una rivista che a partire dal nome vuole avere poco di serio,  mi comporto di conseguenza e vi beccate una serie di FAIL.

E già questa mi sembra renda l’idea. Dopodiché, un po’ di sana violenza:

Vaf***culo, fiori! Come ci si sente a essere presi a calci dritti in faccia?

Ancora, un paio di Poster Motivazionali, che sembrano essere diventati uno dei nuovi ‘internet memes‘ del momento.

"Perché mi sono alzato stamattina?"

Nonché:

"La Verità: è un'avventura, non un assioma. Una storia ancora da sviluppare, non un racconto già scritto. Il viaggio è quello che conta, non la destinazione. VERO?"

e per finire, cose che possono capitare quando aggiungi il tuo capo come amico su FB e ti lamenti del posto del lavoro:

E buona giornata, ovviamente.

  • Paola Locci, “Elogio del pessimismo : ovvero, istruzioni per vivere comunque bene”, Milano, FrancoAngeli, 2003
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Cosa ricordo della mia infanzia

5 agosto 2010

Andiamo, sapete che è vero.

Trovata QUI. Traduzione (uff…):

  • importanti lezioni di vita/eventi
  • repliche di cartoni anni ’80 che sono la ragione per cui ora spendo soldi in ciarpame inutile, vado a mostre-mercato per spendere più soldi, tutti i miei amici sono dei nerd, e sono l’unico teenager (o un po’ di più, NdR) che si relaziona ai suoi genitori perché sono stati la ragione per iniziare a vedere quei cartoni.

Giuro che nei prossimi giorni ci saranno tante belle cose nuove, sul blog.

  • Fabio Bonifacci, “Anni di pongo : perché gli anni ottanta non sono mai esistiti, perché continuano ad esistere”, Bologna, Granata Press 1993
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Beati i fessi

3 agosto 2010

Beati i fessi, perché le fessure lasciano passare la luce.”

Proverbio popolare, reperito in “Favole dal deserto” di Jihad Darwiche come referenza alla favola di Giuha/Giufà (presente nella cultura popolare siciliana e ‘personaggio-ponte’ con la cultura araba e altre culture mediterranee: cliccate sul link e fatevi una cultura)

  • Carlo Maria Cipolla, “Allegro ma non troppo : le leggi fondamentali della stupidità umana”, Bologna, Il Mulino 2007